Cristianesimo a luci rosse

Altro che sessuofobia. Sculture, dipinti, bassorilievi mettono in bella mostra genitali e atti erotici. Come si spiega tanta spregiudicatezza? È un’anticipazione del Paradiso.
di Antonio SOCCI
PECCATO ORIGINALE. Masaccio, ‘Cacciata dal Paradiso’
Questo caso, dove il programma iconografico dell’autore, Wiligelmo, è accuratamente studiato e teologicamente ponderato, fa pensare che immagini del genere non siano puramente decorative o beneauguranti. In questo caso è particolarmente significativo il suo inserimento in una serie di immagini che rappresentano Adamo ed Eva, la loro caduta e le conseguenze del peccato originale (una delle quali, la vergogna della propria nudità, viene evidenziata da Wiligelmo con la copertura dei sessi sotto immense foglie).
Arriviamo a possibili spiegazioni. La Jacobelli, teologa cattolica, nel suo Risus paschalis (il fondamento teologico del piacere sessuale), mette in relazione queste figure, apparentemente così strane nel contesto liturgico, con l’abitudine dei predicatori di suscitare il riso dei fedeli, durante la predica di Pasqua, con motti che oggi riterremmo osceni. Patrizia Castelli Ð che ha studiato L’ostensione della vulva nel Medioevo evoca altre spiegazioni teologiche che col Rinascimento si sono perdute.
Sta forse in sant’Agostino la chiave di volta. Nel De civitate dei questo padre della Chiesa si chiede perché Adamo ed Eva dopo il peccato originale si accorsero di essere nudi, ne ebbero vergogna e si coprirono. Agostino, come sempre, è geniale. ‘Rifiutandosi di obbedire a Dio (l’uomo) non ha potuto obbedire neppure a se stesso’. Così, mentre nell’Eden l’uomo aveva il dominio della natura e quindi anche di sè e del proprio corpo, insomma era felice, dopo la sua ribellione a Dio, la natura si ribellerà a lui, a cominciare dal corpo, e il sesso (con la morte) è uno dei segni dov’è evidente che l’uomo ha perduto la signoria anche di se stesso. Per questo, dice Agostino, l’essere umano è infelice. Quando l’uomo era signore del creato ‘il corpo gli era completamente sottomesso’, il sesso era degno ‘della felicità del paradiso’ e ‘si poteva parlare liberamente, senza alcun timore, di oscenità, e non ci sarebbero state parole che si potessero definire oscene’.
Dunque la resurrezione di Cristo è il primo anticipo della rivincita dell’uomo sulla morte, la caparra del suo ritorno alla signoria del creato e quelle figurazioni ‘oscene’ nelle chiese, che per secoli non hanno scandalizzato nessuno, forse evocavano proprio la perduta felicità.

L’anno scorso un paio di studiosi annunciarono di aver scoperto il vero autore del Fiore. Quel Durante che scrisse il poemetto non sarebbe Dante, come credette Gianfranco Contini, ma Guido Cavalcanti. Il quale avrebbe scelto tale pseudonimo per significare la durata delle erezioni del suo organo sessuale. D’altra parte il sottofondo erotico della poesia del tempo è evidente. E se dalla letteratura profana si passa all’arte sacra le sorprese sono ancora più stupefacenti. Più che un Medioevo ‘buio’, vien fuori un Medioevo ‘a luci rosse’. Altro che sessuofobia e bigottismo.
Per secoli l’immagine, e non la parola scritta, ha fatto scuola ai popoli e la Chiesa ha usato come nessun altro l’arte figurativa per la sua pedagogia. E spesso si tratta di immagini che traboccano sensualità. Il caso di Yukio Mishima, che ebbe il suo primo orgasmo Ð da adolescente Ð dopo aver visto il San Sebastiano di Guido Reni, ha del patologico. Ma tante immagini in effetti parlano quel linguaggio morboso. Nel Martirio di sant’Agata del Tiepolo, mentre la santa spira in estasi, i suoi seni, amputati e sanguinanti, ci sono mostrati su un vassoio da un paggio impassibile. Camille Paglia vede quest’opera come illustrazione di certe perversioni descritte da Sade. ‘Sono duemila anni’ aggiunge la studiosa ex femminista ‘che i supplizi dei martiri e del Cristo stesso nutrono l’immaginazione occidentale di fantasie sadomasochistiche’.

Memorabili anche i contorcimenti di corpi dei giudizi universali. Nel Duomo di San Gimignano, Taddeo di Bartolo ha rappresentato un Inferno Ð siamo nel 1396 Ð dove accanto ai tanti corpi nudi suppliziati c’è il reparto erotico: si notano una donna stuprata da un diavolo con un palo, altre due Ð rigorosamente nude Ð frustate mentre hanno le mani legate dietro la schiena, altre ancora sono pesantemente palpeggiate dai demoni e infine, in primo piano, una ragazza bionda, capelli lunghi, sta carponi e viene cavalcata da un demonio che la penetra da dietro con la sua lunga coda.
Immagini didattiche, immagini sconcertanti, non meno ‘audaci’ delle pitture ‘proibite’ di Pompei. Siamo agli antipodi del moralismo e del bigottismo sessuofobo. A Gubbio, nella chiesa di Santa Maria Novella, si trova la Madonna del Belvedere del Nelli (1495). Ai lati dei santi il tutto è incorniciato da due colonne tortili su cui stanno dipinte sorprendenti scene di sesso: un uomo e una donna nuda sono impegnati in vari tipi di accoppiamento e di giochi erotici.
Nel XIV secolo si ha un vero proliferare di pitture oscene nelle chiese di tutta Europa. I trattati del tempo ne fanno il commento. E non sono solo pitture. Nella chiesa benedettina di Ciudad Rodrigo, fra Spagna e Portogallo, che ha l’ingresso riservato agli uomini, c’è un bel coro ligneo attorno all’altare. Ogni schienale ha figure decisamente oscene, inoltre i braccioli su cui i monaci appoggiano le mani sono di forma fallica, così come un grande fallo è il leggio.
Ancora più esplicite e più note le sculture poste all’esterno delle chiese. Sul ‘portale degli uomini’ (XIV secolo) del Duomo di Trasacco, in provincia dell’Aquila, fra le altre belle immagini, al centro, sulla chiave di volta, è scolpita una figura umana con un grosso fallo che pende dall’alto. Mentre ad altezza umana, sulla sinistra, sta una figura femminile accovacciata con le gambe aperte e la vagina in evidenza.
Certo, l”ostentatio genitalium’ è tipica anche della grande scultura rinascimentale, basti ricordare il David di Michelangelo. Ma in questo caso si trattava di un canone di bellezza, che esigeva la nudità, direttamente ispirato al classicismo ellenistico. Invece nei secoli precedenti, quando la scultura era parte dell’architettura delle chiese e di un preciso programma iconografico, l’esposizione dei sessi era perseguita in sè. È il caso della chiesa della confraternita di Sant’Antonio abate a Città di Castello dove dal grande rosone, per secoli Ð fino a pochi anni fa Ð ‘unico, solo, gigantesco’ scrive la teologa Maria Caterina Jacobelli ‘si protendeva in avanti un enorme fallo’.
Lo stesso attrezzo era esibito sul portale della cattedrale di Toulouse, mentre nelle chiese d’Irlanda più frequentemente si raffiguravano donne che mostravano il loro organo sessuale. Immagini chiamate ‘Sheela na-Gig’ che significa ‘donne di vita’. È una figurazione diffusa in tutta Europa. L’immagine del fallo viene ovviamente ritenuta una persistenza degli antichi culti priapici, quella del sesso femminile si richiama ad analoghe mitologie. In entrambi i casi si tratta di culto della fertilità che tanto per la natura quanto per la procreazione umana era sinonimo di prosperità. Per questo tali immagini erano ritenute beneauguranti e perdurano nei secoli, trasformate in amuleti, con curiose evoluzioni iconografiche: infatti il ‘corno’ portafortuna e il ‘ferro di cavallo’ altro non sono che trasformazioni simboliche del sesso maschile e di quello femminile.
Dai Romani viene anche l’uso di porre immagini falliche sulle mura degli edifici, a loro protezione. Che il culto di Priapo sia sopravvissuto nella civiltà cristiana è dimostrato anche da certi riti, come la festa che si celebrava il 27 settembre a Isernia (è documentata fino al 1780) nella chiesa dei santi Cosma e Damiano, dove organi sessuali maschili in cera venivano venduti ed erano offerti come ex voto al ‘santo Cosimo’ (alcuni sono conservati oggi al British museum).
Secondo Richard P. Knight, che al fenomeno dedicò un fondamentale studio (Le culte de Priape et ses rapports avec la thèologie mystique), Priapo sopravvive in epoca medioevale anche sotto le spoglie di altri santi, per esempio san Foutin, venerato nel Sud della Francia.
Ma si può spiegare il fenomeno solo come persistenza di culti pagani, magari alimentati dalle correnti ereticali del Medioevo? Le raffigurazioni di sesso sono innumerevoli. A Todi, per esempio, sul portale di San Fortunato, su un lato è scolpito un monaco e sull’altro una monaca. ‘Facendo attenzione’ scrive la teologa Jacobelli ‘si vede chiaramente che uno dei due tortiglioni che da un lato salgono, girano e scendono dall’altro lato del portale, è il fallo del monaco che fa tutto il giro e raggiunge la vagina della monaca’. Che significa una così ardita rappresentazione? Famosa è specialmente ‘la potta modenese’, una donna con le gambe spalancate che mostra i genitali, su una grande metopa del Duomo di Modena. 

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