La stregoneria degli animali

Quando ci si immagina una strega, la si vede sempre circondata da animali.
Vediamo quali erano, quali compiti avevano e quale significato assumeva la loro vicinanza, da un punto di vista simbolico…

Per realizzare le loro composizioni venefiche o medicamentose e streghe attingevano ai diversi regni della natura.
Infatti, oltre alle piante, ai fiori e alle erbe, anche gli animali erano utilizzati nella realizzazione delle loro pozioni.
In alcune antiche ricette da esse elaborate, ricette “ad sanguinem stangnandum” ( per fermare le emorragie di sangue) si legge, ad esempio, di intrugli a base di zampe di ragno e gusci di lumache. Nei più micidiali veleni invece erano presenti vermi, scorpioni, scarafaggi, topi. E sempre a proposito di animali pare, inoltre, che il diavolo stesso al momento dell’affiliazione ne assegnasse addirittura uno cui potevano comandare “così come si fa ad un famiglio”.
C’era chi sosteneva che queste donne potessero addirittura incarnarsi in questi animali per meglio compiere le loro cattiverie.
Nella maggior parte dei casi si trattava di grossi gatti neri, come ci riferisce un racconto casentinese riportato da G. Fabiano Chiusi della Verna “Guida, storia, ricordi di un paese montano.”

IL GATTO E LA STREGA
“Quella sera prese la parola Carlo. Era stata una provocazione a dargli il via. Pensate, Beppe aveva asserito che le streghe non esistevano (tra il disappunto delle donne e i segni di Croce della nonna) e che erano tutte bischerate .
Allora Carlo testimoniato dalla moglie si mise a raccontare un fatto che gli era successo quando ancora non abitava lì.
Diversi anni prima aveva avuto a che dire con una famiglia che abitava a mezza costa sotto di loro. Cose da nulla, ciance di connette invidie e pettegolezzi che sembravano risolte con scambio di berci tra le due parti e poi amici come prima.
Ma, Carlo da quel giorno cominciò a non sentirsi più bene. Mangiava poco, si sentiva sempre stanco e aveva assunto un colore che non piaceva affatto.
Andò dal suo dottore che non gli trovò niente di malato ma per non mandarlo via senza niente gli prescrisse alcune vitamine.
Ma la salute non migliorava anzi peggiorava di giorno in giorno e si faceva preoccupante. Andò da altri medici, anche da u luminare ma nessuno trovò niente di specifico. E lui si spegneva come una candela .La moglie disperata non sapeva a che santo girarsi .Andò pure in pellegrinaggio a Santa Maria del Sasso, accese una candela, si raccomandò a tutti i Santi.
Ma niente. Quando una vecchia vicina le consigliò (sotto voce e senza dilungarsi troppo, si sa di queste cose meno se ne parla e meglio è!) di consultare la Rita .
Era questa una vecchietta di almeno cento chili che aveva fama di riuscire a sciogliere i sortilegi . Di essere, insomma, una strega buona incaricata dal buon dio di distruggere i malefici delle streghe cattive. Per Assunta (la moglie) il compito non era facile.
Il marito non credeva a certe cose e c’era il caso che si arrabbiasse a morte nel sentire una proposta simile. Invece stranamente non successe niente di tutto questo.
Carlo ascoltò attentamente e anzi sollecitò la donna a chiamare la fattucchiera. Il rito fu fissato per il venerdì successivo alla ore undici.
Quella sera la Rita chiese che gli fosse approntato un bel fuoco nel camino un paiolo piuttosto grande ed alcuni capi di biancheria adoperati dall’uomo e ancora non lavati. All’ora fissata si presentò il donnone tutta vestita di nero (con un gran fazzolettone sempre nero che gli copriva la testa e buona parte della faccia.
Con in mano alcuni vasetti contenenti chissà che cosa, un ramo di olivo benedetto, un crocifisso e un libretto nero unto e bisunto che denunciava gli anni che aveva.
Allontanò tutti dal fuoco mandandoli all’estremità opposta della cucina verso l’unica uscita dell’abitazione.
Diede a ciascuno un bastone e raccomandò il massimo silenzio e attenzione.
Riempì il paiolo d’acqua ci mise alcuni pizzichi di polvere che prelevò dai suoi vasetti ed infine mise nel recipiente anche la biancheria di Carlo. Appoggio il paiolo sul fuoco girò e rigirò i panni con un lungo mestolo.
Aprì il libricino e cominciò a biascicare frasi che gli spettatori non capivano ma che ritennero fossero preghiere in latino o in qualche altra lingua sconosciuta.
Nel contempo tracciava ampi segni di Croce con il suo Crocifisso nell’aria e aspargeva con l’olivo bagnato dell’acqua del paiolo il fuoco. Il tempo passava tra biascichii di formule, strani gesti del donnone, (nel silenzio più assoluto degli spettatori) e finalmente, arrivò la mezzanotte Al primo rintocco del vecchio orologio a pendolo del salotto saltò fuori, nessuno riuscì mai a capire di dove, un gatto nero con il pelo ritto che miagolava inferocito.
Con un crescendo formidabile la donna scattò in piedi con una elasticità ed energia impensabile in quella mole e si mise ad urlare: ” picchiate picchiate!” Tutta la famiglia si mise ad inseguire il felino e giù bastonate!
La povera bestia non sapeva da che parte andare anche perché l’uscita gli era impedita da Assunta che si era piazzata in mezzo alla porta d’ingresso.
Pareva una bolgia e il gatto ne prese tante, ma tante.
Finalmente riuscì a scartare la massaia e ad imboccare la gattaiola aperta sulla porta e raggiungere l’esterno. Buon per lui se nò ci avrebbe lasciato senz’altro le penne!
La Rita riprese le sue robe cinque coppie d’uova che aveva pattuito come compenso e si allontanò sola nella notte.
Ma il bello stà qui: la mattina dopo successero due fatti per lo meno strani. Il primo e più importante che Carlo si sentì meglio e , come raccontava, con i giorni riprese la sua buona salute. Il secondo fu quello che la Nena (anziana pinza sorella del capoccia della famiglia con cui avevano avuto a che dire a suo tempo) andava a raccontare a tutti di essere inciampata e di avere barellato(ruzzolato) per le scale.
Pertanto era piena di lividi ed escoriazioni. Inoltre dovette anche andare all’ospedale dove gli riscontrarono un braccio e tre costole rotte…!
Il racconto era terminato, gli ospiti si alzarono senza commenti (sempre meglio essere prudenti!) e guardarono con malcelato sospetto il vecchio gatto di casa che dormiva placido vicino alle ceneri.”

-IN EGITTO-
E pensare che nell’antico Egitto, invece, diversamente da quanto avveniva nel nostro folclore, chi faceva del male ad uno di questi animali doveva aspettarsi la vendetta degli dei, proprio perché nelle sembianze di un grosso gatto, il dio del sole Osiride, si dice, avesse tagliato la testa ad Aapepe, signore delle tenebre e del male.

LA MALEFICITÀ DEI ROSPI Anche i rospi facevano parte della terribile schiera dei fedeli servitori delle streghe. Sul loro comando avvelenavano pozzi, contaminavano raccolti, succhiavano il sangue ai bambini.
Per non parlare poi di tutte le altre malattie che questi diabolici animali riteneva fossero in grado di infliggere agli uomini: cecità, dolori acutissimi, convulsioni.
Dove c’erano rospi mai e poi mai era consigliabile addormentarsi: i loro umori velenosi avrebbero sicuramente fatto perdere la salute.
A chi ne incontrava uno, per neutralizzare subito le nefaste influenze, la tradizione imponeva sempre di sputargli contro tre volte.

Insaziabilmente libidinosi, si diceva, inoltre, che nelle adunanze sabbatiche si unissero schifosamente con le più belle “magare” generando così esseri mostruosi simili a dei neonati che nessuna balia però sarebbe mai riuscita a sfamare.
Certamente però la caratteristica più interessante dei rospi era che attraverso il loro aiuto i mariti gelosi potevano far confessare alle proprie consorti tutte le infedeltà commesse. “La notte nel più bel dormire, quando che dorme grandemente-si legge in “Dei miracoli et meravigliosi effetti della natura prodotti” del già menzionato scrittore napoletano G.B. della Porta- habbia lengue di rospo.
Queste mettetele sopra il petto suo in quella parte dove batte il cuore, passavele stare un poco doppo domandagli ciò che vuoi sapere ma non t’incresca il ridomandargliene caso che in fatto la non ti rispondesse percioche facilmente la comincerà a parlare e dirà tutti li suoi secreti e sempre ti risponderà la verità”

GLI ANIMALI CON LE ALI
Geni maligni delle streghe erano ritenuti anche i gufi, le civette e i pipistrelli. I loro voli notturni intorno alle case degli uomini preannunciavano sempre qualche disgrazia o malattia.
Chi riusciva però a catturarne uno e a inchiodarlo ancora vivo agli stipiti della propria porta d’ingresso avrebbe immediatamente allontanato da sé tutti i lutti che lo minacciavano.
I pipistrelli venivano invece gettati direttamente nella fiamma del focolare maledicendoli cinque volte.
Nei corvi oltre alle streghe, si diceva, che si incarnassero le anime senza pace degli uomini malvagi, poiché sotto questa forma si credeva fosse esalata verso gli inferi l’anima di Giuda. 

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