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SIENA – E’ un giorno di festa a Radicondoli nell’anno del Signore 1609. La processione con l’incenso e le canzoni alla Madonna sfila tra le strade anguste del borgo senese. Due donne interrompono per un momento il canto. “Ma che bel figlio hai”, esclama una, Angela, la levatrice del paese, scorgendo un bambino di sei anni davanti all’uscio di casa dell’altra. Questa grata del complimento sorride orgogliosa: “Dentro, nella culla, ce n’è uno ancora più bello”. La notte la madre viene svegliata dal pianto del neonato: un grosso topo nero con la pancia bianca si è arrampicato sulla culla; lei si precipita per scacciarlo, tenta di colpirlo con l’attizzatoio ma il topo riesce a fuggire. La mattina seguente il piccolo viene trovato morto. Stessa sorte avevano avuto due suoi fratelli: morti in fasce. La famiglia è disperata, sembra una maledizione. Alla madre tornano in mente le poche parole dette dalla levatrice nella processione. Va dall’inquisitore e denuncia Angela per maleficio mortale contro i suoi tre figli. Al processo Angela nega, nega anche sotto tortura, ossa e carni straziati dai terribili tratti di corda. Verrà condannata lo stesso.
Le prove contro di lei però sono fragili, per questo la pena è relativamente lieve. Dovrà scontare a vita la “penitenza salutare”: durante le funzioni sarà obbligata a stare in ginocchio fuori dalla Chiesa con un cero in mano. Ma la vera condanna è che diventerà una paria: niente più lavoro, parenti, affetti.
Il dramma di Angela è negli atti di uno dei 1725 processi intentati dal tribunale dell’Inquisizione a Siena. Li sta studiando Oscar Di Simplicio, professore di Storia moderna dell’università di Firenze: una ricerca finanziata dalla Fondazione del Monte dei Paschi. Le carte, circa 170 mila, sono conservate in Vaticano nell’archivio della Congregazione per la dottrina della fede, erede dell’Inquisizione che ovviamente non esiste più. Gli archivi, su cui la Chiesa ha imposto il segreto per secoli, sono stati messi a disposizione degli storici dal gennaio del ’98 per il Giubileo. La gran massa dei documenti però fu trafugata, insieme a capolavori d’arte, da Napoleone. Non avendo valore venale essi andarono quasi completamente persi.
“I fogli servirono a incartare il pesce nei mercati Parigi – dice il professor Di Simplicio – quel poco che si è salvato è al Trinity college di Dublino e all’università di Bruxelles”. Ciò nonostante c’è una serie completa degli atti, che va dal 1580 al 1782, quelli senesi su cui sta appunto lavorando Di Simplicio. Per le Ceneri, data volutamente simbolica, del Duemila sarà in libreria un suo saggio che però si fermerà al 1721.
Perché queste carte sono sfuggite alla razzia di Napoleone? Perché fino al 1911 erano rimaste nell’archivio arcivescovile di Siena ma a seguito di tumulti anticlericali nella città la curia senese le consegnò al Vaticano per metterle al sicuro. Gli atti dell’Inquisizione di Siena sono dunque gli unici e i primi ad essere studiati in Italia. “Una eccezionale fonte storiografica – sottolinea Di Simplicio – che consentirà finalmente un confronto tra la caccia alle streghe nello Stivale e il resto dei Paesi europei”. In tutto il continente infatti la repressione della stregoneria era quasi esclusiva della giustizia statale, solo in Italia essa fu esercitata dai tribunali ecclesiastici. E, ormai vinta sulla Penisola la guerra della Controriforma, solo il 25 per cento dei processi senesi è per eresia mentre oltre il 33 per cento ha per oggetto magia, negromanzia (la magia dotta, appresa sui libri), stregoneria e maleficio. Proprio quest’ ultimo, il maleficio, era il “reato” più diffuso: il 22 per cento al contrario che in Germania o in Francia dove a malapena arrivava al 4-5 per cento. Peculiare anche dei processi senesi il fatto che imputati di questo crimine fossero esclusivamente donne. Come si spiega questa “originalità” italiana? Per maleficio si intendeva uno sguardo o una parola che grazie a un potere personale dell’accusato provocava danni alle persone o ai raccolti, alle mandrie. La Chiesa, più avanzata rispetto alla mentalità laica, era molto scettica sulla stregoneria, che prevede patti col diavolo e liturgie orgiastiche alla presenza di Satana come il Sabba. Ma perché solo le donne accusate di maleficio? “Perché levatrici, guaritrici erano attività femminili – spiega Di Simplicio – e chi è in grado di dare o salvare la vita ha anche il potere della morte”.
Anche il diritto ecclesiastico era più “moderno” rispetto a quello laico: la tortura venne praticata dall’Inquisizione solo nel 30 per cento dei processi e solo quando l’imputata si contraddiceva; era inoltre vietata la chiamata a correo e cioè dall’imputata non veniva preteso che facesse i nomi di altre “fattucchiere”. Il padre inquisitore si avvaleva della perizia di un medico che doveva accertare soprattutto se la vittima, l’infante o l’animale stregati, avesse segni, buchi nella pelle attraverso cui era loro stato succhiato il sangue. Nei tribunali laici stranieri il medico invece si preoccupava soltanto di cercare “nei e altri segni diabolici sulle pudende dell’imputata che veniva rasata”. Inoltre, anche se la sentenza nei tribunali religiosi spettava al padre inquisitore che aveva condotto le indagini, egli ascoltava le ragioni del “procuratore (l’avvocato spesso d’ufficio) dell’imputata e il parere di 47 “consultores” scelti tra i notabili della curia. Sulla correttezza della procedura vigilava infine il Sant’ Uffizio a Roma a cui venivano inviate le copie degli atti processuali.
La superiore civiltà giuridica dell’Inquisizione comportò in Italia un numero di gran lunga minore di vittime nella “caccia alle streghe” rispetto ai massacri di Francia e Germania. I “roghi”, le streghe strangolate e poi bruciate, nel Senese si contano sulle dita. La pena, a parte quella capitale e oltre alla “penitenza salutare” di cui si è detto, era spesso il “soggiorno obbligato”.
I processi per stregoneria dell’Inquisizione, dopo una punta negli ultimi anni del ‘500, si andarono diradando fino a scomparire dal 1660. Un intreccio complesso di concause – è la tesi del professore – ne determinò la fine. “Dall’alto – spiega Di Simplicio – il crescente scetticismo nella Chiesa verso l’occultismo e dal basso il rarefarsi delle denunce, spesso dovute a odi e vendette paesane. Un attenuarsi della conflittualità soprattutto merito del Concilio di Trento che portò il catechismo e le parrocchie. Senza trascurare che le beghe localistiche trovavano terreno poco fertile nelle istituzioni degli Stati regionali che andavano nascendo”.