Chiaroveggenza oltre la vita

di Fulvia Cariglia
Se mai è facile una classificazione di quei fenomeni che, dall’altro della nostra condizione strettamente pentasensoriale, riteniamo paranormali, le difficoltà aumentano in particolare quando la fenomenologia da “incasellare” riguarda la chiaroveggenza. E’ infatti il caso in cui, maggiormente, fenomeni all’apparenza affini potrebbero essere in realtà distinti, o viceversa; così come, molto spesso, all’evento di natura chiaroveggente si uniscono espressioni di telepatia, retrocognizione o precognizione, che pervengono a complicare la manifestazione e a renderne più intricate le possibili interpretazioni; e, infine, o meglio soprattutto, va sempre tenuta presente la probabile, sia pur inconscia, partecipazione del medium nell’influenze od elaborare, modificandola, l’immagine che percepisce mediante la trance.
Problemi irrisolti, questi, e di non poca portata, veri e propri ostacoli per la ricerca che non si rassegni alla mera osservazione dei fatti. Ma lasciamo a chi di dovere l’impegno di teorizzare sulla chiaroveggenza tattile o telepatica, o viaggiante, o in quanti altri modi ancora essa viene settorialmente studiata, e attendiamoci, nel ruolo giornalistico che ora ci compete, a raccontare di persone e delle loro storie, sempre diverse e per questo sempre stimolanti, storie di vite dal destino insolito, che talvolta sfiorano i contorni della nostra normalità.
Questa storia riguarda una chiaroveggente, per la precisione una chiaroveggente un po’ sui generis, una che… come dire?No, meglio non dire, inutile tentare di definire – come si è detto – meglio semplicemente presentare Sue Rowlands, una donna come tante, anche se…

Dalla prosa alla poesia
Era una bimba molto piccola quando Sue, inglese di Liverpool, si accorse di “vedere” ciò di cui gli altri, i grandi, ignoravano la presenza; appena quattro anni o poco più, e doveva trascorrere ancora un bel po’ di tempo prima di potersi aprire ad una tale confidenza con qualcuno. Fu in occasione della morte della madre, da lei assistita durante la malattia, che le divenne tanto chiara la situazione da decidere di parlarne in famiglia, e fu solo allora che seppe della forte medianità della sua nonna, un’invisibile eredità con cui oggi ogni giorno si confronta.
Sposata, madre di tre figli, ha lavorato prima in borsa poi in una sua piccola attività, un negozio di frutta e verdura che di recente ha venduto per dedicarsi esclusivamente ad esplicare le sue particolari doti di chiaroveggente e chiaroudente. Da una formazione commerciale ad una scelta di vita tanto diversa che la porta da Londra a Zurigo, da qui (ove opera presso la Società di Parapsicologia) all’Italia, e poi ancora a Londra per… sì, diciamolo subito, per ascoltare le parole dei morti e riferirle a chi, quelle anime, vogliono rivolgerle.
Detto così può sembrare un po’ brutale o di tono sarcastico, ma spieghiamo subito che tanta chiarezza è solo per corrispondere alla realtà dei fatti.
Dopo aver recitato una preghiera, e dopo una breve concentrazione, Sue Rowlands inizia ad avere visoni che – spiega – costituiscono il contatto con il mondo dei trapassati, ch’ella può distinguere “perfettamente, a colori, a volte in miniatura, dalla testa ai piedi e anche, notarne i comportamenti”, in una sorta di rapporto telepatico grazie al quale il defunto comunica mentalmente con lei. Non decide con “chi” mettersi in contatto, viene da “lui” usata come mezzo; non può far nulla per “chiamare” un intervento desiderato, può solo riferire ciò che le viene indicato dalle sue visioni, che “si affollano” per comunicare con i loro cari presenti alla trance.
Con una facoltà dichiarata di questo genere, si può ben immaginare quanto sia onerosa la vita di questa donna, divisa fra famiglia, chiesa e, appunto, pressanti richieste di “mediazione”. Ma non sembra scomporsi troppo per questo: “So cosa sia il lavoro – afferma – e non credo a coloro che dicono di non aver tempo per le cose. Ho lasciato il negozio solo perché mi rendevo conto che sottraevo tempo prezioso a questa possibilità che ho di fare del bene agli altri”.
Nella chiesa Spiritualistica di cui fa parte, la Whithers Lane Spiritualist Church, l’attività della Rowlands non è soltanto quella descritta, ma riguarda anche tutta una serie di impegni sociali e spirituali che vanno dalla cura dei seminari di medianità a quella dell’esercitazione della psicometria, all’insegnamento delle tecniche per mettere gli altri in grado di fare altrettanto all’assistenza e aiuto in senso stretto per coloro che si trovino in stato di bisogno materiale o morale. Sebbene gli spiritualismi non abbiano dogmi – sostiene la chiaroveggente – i membri dell’Unione Nazionale degli Spiritualisti, cui la mia Chiesa è associata, si rifanno a sette principi fondamentali quale linea di condotta della loro vita di ogni giorno. Essi sono, si può dire, il nocciolo di quasi tutte le religioni.
E’ bene qui spendere qualche riga per precisare che in Inghilterra le Chiese Spiritualiste vengono accettate come centri religiosi che non contrastano necessariamente con la Chiesa ufficiale e, dato il favore della stessa Chiesa Reale, possono esprimersi liberamente. Qualche critica da parte di alcuni rappresentanti dell’ufficialità religiosa viene messa a tacere con l’utile pro-memoria “Gesù non giudicava nessuno” e con il richiamo ad un Dio unico e Universale quale principio informatore della religiosità assoluta. “Le religioni sono di questa terra” – vuole ancora ribadire Sue Rowlands – il mondo spirituale eterno”.
Sì, d’accordo, questo lo pensiamo anche noi, signora Rowlands, ma ci perdoni una curiosità che tormenta chi non potrebbe, come Lei ha fatto, lasciare l’usuale lavoro per una scelta di vita diversa, più interiormente appagante: per i Suoi interventi medianici chiede una retribuzione?
“La comunicazione vera e propria che i consultanti ricevono è sempre una grazia – risponde decisa – e non diversamente deve essere considerata; il compenso che viene chiesto è semplicemente relativo al tempo impiegato per rendermi disponibile. E’ ciò, osservato con onestà, non discorda con i principi dello spirito religioso”.

Dalla teoria alla pratica
Fin qui l’esposizione del pensiero, ora quella dell’applicazione di esso (cui, per un’intera serata, abbiamo assistito personalmente per poter relazionare su tre casi scelti ad esempio) non prima, tuttavia, aver puntualizzato che l’esperimento si è svolto alla presenza di circa mille persone, condizione obiettivamente non favorevole per una “prova” di questo tipo. Sue Rowlands si muove sul palcoscenico, illustrando al pubblico la dinamica della dimostrazione ed il comportamento da tenere, con una disinvoltura che farebbe invidia a Pippo Baudo. Anzi, poteri dire che l’inizio del suo esperimento comincia proprio con la capacità di approccio alle persone che le stanno di fronte, di cui ella cattura l’attenzione già per la sicurezza del suo porsi prima ancora che per l’attesa delle prestazioni medianiche che promette. E’ la maniera inglese, una forma abitualmente adottata nei paesi anglosassoni, cui noi, ardenti mediterranei ma di minor coraggio per quanto attiene l’argomento, non siamo abituati. Raccomanda il silenzio, la concentrazione, la collaborazione del rispondere immediatamente, al contatto giusto e nel non intervenire a sproposito; avverte sull’importanza di una buona disposizione del cuore per poter comunicare con “loro”, e ricorda che chi sarà chiamato a parlare non lo farà con lei ma con i loro cari che le usano; esorta ad unirsi a lei in una preghiera al Signore e a comprendere che è da Lui che viene il dono di una simile possibilità. Il tutto intercalato da un Ladies and Gentleman che suona da richiamo a chi sta per distrarsi.
Con voce solenne la preghiera ha inizio. L’atmosfera sembra divenire quell’ottimale. Il primo “contatto” non tarda ad arrivare. Sue Rowlands comincia subito a “vedere”un ragazzo insiste per rivolgesi ad una donna che è presente, una mamma che ha perso suo figlio; è un ragazzo – dice – che studiava, ma che aveva interrotto i suoi studi prima di morire. Forse più di cento cuori nella sala sobbalzano e la sensitiva è costretta a richiamare alla calma, esteriore ed interiore, senza la quale non può continuare la sua opera. Si volta ora a destra ora a sinistra verso il pubblico, guidata dalle sue sensazioni, fino ad indicare una signora, una mamma in trepida attesa. La “voce” la avverte che sì, è quella la mia mamma. È lei quello con cui voglio parlare. Il dialogo mediato si svolge con l’accorato tono di chi ha lasciato questa terra con tante cose ancora da vivere completamente e chi quei ricordi perpetua nel dolore, una confessione di rimpianti e rimorsi da una parte e l’assicurazione del perdono dall’altra. La scuola mai finita, le noie con la polizia, e poi l’eroina, sì l’eroina, tutta colpa di quella tragica esperienza. Date, nomi, momenti di vita familiare corrispondono esattamente, una vecchia motocicletta, e il cane… “Il cane, mamma, ora è con me, corre velocissimo, ha di nuovo le gambe a posto”. Irrompe in un pianto quella mamma, ormai certa: “Il cane è morto paralizzato” dice. E’ ora la volta dell’immagine di un bimbo. Le indicazioni lo attribuiscono ora all’uno ora all’altro dei presenti; poi, qualche dato in più sembra “aggiudicarlo” definitivamente ad una coppia, due giovani con gli occhi immobili dal dolore, probabilmente fra quel pubblico con la stessa speranza di altri, ma poco propensi a lasciarsi trasportare dalle emotività. Si parla di una palla rossa, di giocattoli ricevuti per Natale. “Una palla avrà certamente avuta e giocattoli per Natale ne hanno ormai tanti tutti i bambini”, dicono. Viene ricordato un modo di giocare con il papà, certe attenzioni della mamma, la cameretta con il lettino. “Sì, più o meno, ma è normale, è di tutti”, rispondono. Senza alcuna scortesia, ma piuttosto apertamente, i due fanno capire che non è abbastanza per credere, che quei dati non sono sufficientemente significativi per illudersi di essere stati prescelti per quella “grazia”.
Ed io sento attorno a me i commenti dei genitori delusi per essere stati ignorati dalle “entità”, che non approvano, quasi criticano, si infastidiscono per quell’inspiegabile resistenza considerando come una mancanza di riconoscenza.
Si presenta ora alla trance della Rowlands la visione di una donna anziana che cerca una persona addolorata presente in sala, ma non in attesa di lei come sapremo dopo. Questa viene individuata in una signora che da poco ha perso il figlio ventiduenne e la cui madre, dell’al di là, vuole consolare. I riferimenti, per noi decisamente molto generici, sortiscono invece nell’interpellata una commossa partecipazione. Gentilissima, in seguito, la signora ci offre la sua testimonianza.
D. Deve credermi se Le dico che provo tutto l’imbarazzo che questa intervista comporta per il rispetto profondo che ho del Suo dolore, senza per questo rinunciare alla mia dubbiosa posizione di osservatrice. Ma le chiedo di aiutarci a capire cosa ha cambiato in Lei l’esperienza.
R. Mi sento gratificata da questo dono; è stato un dono vero, un dono immenso. Ho avuto un’ulteriore conferma che la vita continua. Oggi so che io e mio figlio ci rivedremo, perché “loro”, di là, ci aspettano.
D. Aveva bisogno di questo per crederlo?
R. No, ma questo ha rafforzato la mia fede.
D. Dunque Lei è certa di aver parlato con sua madre per quelle allusioni che, mi scusi, a me sono parse applicabili a mille altri casi? Non manco di delicatezza se dico che Lei ha avuto una comunicazione non così particolare da darle tanta sicurezza.
R. Sono certa, certissima di aver parlato con mia madre; non ho dubbi. Io capisco, perché Lei ha sentito comunicazioni che hanno valore solo per me, che solo io posso collegare alla mia vita trascorsa. Ma ciò che più conta, ho provato una sensazione profonda nel cuore, che è solo mia e che non saprei descriverLa.
D. E non mette in conto anche la possibilità di un evento telepatico molto forte, per esempio?
R. Io non escludo nulla. So però che se anche non fosse stato un episodio medianico, è stato per me un messaggio di forza. Stamattina la vita è più bella.

C’è un diritto al commento?
Sono queste parole che mi sembrano poter togliere il diritto al commento giornalistico. Lasciamo le cose come stanno e le deduzioni ad altri o ad altra sede. C’è il momento dell’esperimento quello della cronaca e poi, non meno importante, quello umano; e ora, qui, io mi sento in quella pesante circostanza in cui il nostro mestiere ci mette.
I casi riportati hanno caratteristiche ben diverse e riconoscibili e, dopo tanti anni di militanza nella schiera dei lettori del nostro giornale, può essere lasciata ad ognuno la libertà di dedurre con consapevolezza e secondo la propria posizione sul fenomeno, certi come siamo che il dibattito che ne potrà scaturire non sarà altro che costruttivo per l’arricchimento culturale di tutti. Questa pubblicazione – dice spesso, e a ragione, il nostro Giulio Brunner – è una palestra di idee, un esercizio a scambiarsele: per questo, ora e qui, ci sentiamo di dover dire solo “Tempo!”, come Sue Rowlands che, al termine della sua esibizione, così conclude:
“Ho sentito ‘Tempo!’. Dal mondo spirituale mi fanno sapere che devo smettere. Questa sera è stato per me molto difficile per la troppa gente che mi sono trovata di fronte, ma il contatto è comunque riuscito e sono spiaciuta solo di non essermi aperta a tutte le ‘voci’ che avrebbero voluto comunicare. Ricordate ciò che è avvenuto questa sera quand’anche non siate rimasti soddisfatti personalmente, perché il vero messaggio è per tutti: non si muore mai”. 

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