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Freud fu il primo a parlarne e ad attribuirle un significato sessuale, secondo Freud,infatti, l’invidia era uno dei segni distintivi della personalità femminile. Nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza i bambini sperimentano la loro diversa identità sessuale: le femmine attraverso l’invidia per il pene, i maschi attraverso la paura, intesa come frustrazione o castrazione.
Naturalmente queste teorie sono state poi criticate e in parte superate, ma mantengono una percentuale di verità.
Lo conferma un’indagine di novembre 2000, realizzata dall’Istituto di Marketing Sociale (Ims), secondo la quale di invidia soffrono nove donne su dieci. I dati emersi da 500 interviste mostrano anche che la diffusione di questo sentimento è assolutamente eterogenea: colpisce indipendentemente dall’età, dal ceto sociale e dal livello culturale. L’invidia è rivolta quasi esclusivamente verso le altre donne, ecco in ordine decrescente gli “oggetti del desiderio” che scatenano il peccato di cui più ci si vergogna:
· La fortuna di avere un uomo bello e soprattutto benestante 37%
· La bellezza delle altre 32%
· Il fascino delle altre 29%
· La capacità deduttiva delle amiche 25%
· La serenità delle amiche 23%
· La felicità delle amiche 20%
· La vita sociale più intensa delle amiche 18%
Difficile quindi pensare ad una solidarietà femminile, sul modello del cameratismo maschile, dato che l’invidia avvelena persino l’armonia dei rapporti di amicizia.
Il partner, contrariamente alle teorie di Freud, è invidiato solo dal 14% delle donne e solo quando occupa una posizione sociale più elevata. Nemmeno i legami famigliari restano esclusi: il 7% delle mamme invidia la giovinezza e la bellezza della propria figlia.
All’invidia si accompagnano poi anche inquietanti fantasie distruttive. Molte donne, infatti, sognano che la rivale sparisca (43 %), che le succeda qualcosa di sgradevole (38%), che perda improvvisamente le motivazioni del proprio vantaggio (37%), che venga abbandonata dal proprio partner (32%).
Non sembra uno dei peccati peggiori eppure è molto grave perché, prima che nei confronti degli altri, può segnare negativamente l’intera esistenza di chi lo prova. Sentimento molto diffuso, come si è visto, ma difficile da individuare: non viene quasi mai dichiarato per non rivelare il senso d’inferiorità che sottintende. L’invidioso infatti non è mai soddisfatto di sé, si vede dei limiti, reali o presunti, mentre riconosce solo negli altri le doti e i riconoscimenti che vorrebbe possedere. Vergognandosi della sua inadeguatezza, che attribuisce all’ingiustizia del giudizio altrui, non tenta di migliorarsi ma si augura solo che gli altri cadano al suo stesso livello. Così facendo si condanna a una vita meschina e piena di rancore, l’invidia è malevola e consuma perché non si sfoga mai, non si placa, citando un vecchio proverbio “L’invidia è così magra e pallida perché morde e non mangia”.
La psichiatria, nell’ambito dei comportamenti deviati, ha associato l’invidia, di volta in volta, a conflitti interpersonali, bassa autostima, depressione, ansia, aggressività e comportamenti criminali, come il vandalismo e persino l’omicidio. Tuttavia l’unica definizione accettata è quella di comportamento socialmente inaccettabile, in quanto distruttivo e non costruttivo, eccezion fatta per il disturbo di personalità narcisistica, formalmente associato all’invidia.
Diventa malattia, invece, in un caso particolare, classificato come invidia maligna, cioè patologica. Si tratta di una regressione del sentimento al suo stadio primordiale, caratterizzato da ostilità, avversione, antipatia, odio molto intenso, in cui prevale, quindi, l’istinto aggressivo. Il soggetto identifica ciò che l’oggetto della sua invidia possiede, non tanto come qualcosa di intensamente desiderato, ma addirittura come qualcosa che gli è stato rubato. In conseguenza di questa percezione distorta della realtà, l’invidioso si sente deluso e attaccato e, per difendersi, reagisce in maniera ostile. L’aggressività di questi soggetti può essere anche solo emotiva, non necessariamente materiale, ed è la prima causa che induce una persona a recarsi da un mago nero per cercare di causare danno con la magia (nera – stregoneria – bassa magia) all’oggetto della sua attenzione.
Spiegato così il fatto che non sempre le fatture, i malocchi, i malefici, vengono commissionati come reazione ad un torto reale subito, ma come conseguenza dell’invidia, la prima molla che fa scattare la malvagità e che cerca la soddisfazione nella rovina altrui.