Regina delle tenebre

Oriente, Diana, Erodiade sono alcune delle figure nelle quali la fantasia popolare identificava quelle strane creature ritenute capaci di levarsi in volo per raggiungere misteriosi luoghi di riunione.
Diana , l’Artemide dei Greci, fu la dea dei margini. Sociali, geografici, mentali. Ben si addiceva a guidare quel corteo di donne e di uomini (e di anime) di cui parlava Ruggero da Casate.”Abiteròi monti e non frequenterò le città degli uomini- canta dea stessa nell’inno composto da Callimaco- se non perché chiamata dalle donne tormentate dalle doglie.” Dea dei boschi, delle realtà marginali, del mondo selvaggio, Artemide-DIANA è una dea dalla fisionomia ambigua, dalle molte caratteristiche arcaiche. La diffusione del suo culto fu enorme: “Dov’è che non ha danzato Artemide?”, si chiede Esopo nei suoi proverbi. In Grecia, veniva talvolta definita xène, straniera: per le sue origini non greche, o forse per l'”estraneità” e l’alterità di cui era portatrice. Già tra i Romani, sull’aventino come pure nel bosco sacro di Nemi, la Diana di Ariccia, con i suoi santuari la troviamo in posti marginali, fuori città, dove offre protezione agli “estranei”, siano essi animali, schiavi, donne incinte. Inoltre, è strettamente legata al Cielo.
DURA A MORIRE
La Diana italica, fusasi con Ecate, rimase a lungo nota agli abitanti del Medioevo. Una divinità in grado di suscitare gli spettri nel silenzio della notte, quando appare accompagnata dalle anime di coloro che non hanno avuto sepoltura o che sono mori di morte violenta, anzitempo. Essa stessa sembrava dura a morire, se in una Vita di San Cesario, vescovo di Arles nel VI secolo, si parla di un “demone che le persone semplici chiamano Diana”, e se la coeva Historia Francorum di Gregorio di Tours racconta di un eremita cristiano che fuori dalla città di Treviri distrusse una statua di Diana venerata dai contadini del posto. Ma la battaglia contro questa antica divinità non fu semplice né indolore, come ebbe a sperimentare sulla sua pelle il vescovo inglese Kilian, ucciso nel VII secolo dai Franchi orientali per avere tentato di infrangere il suo culto.
Questa divinità, dunque, e il suo corteo erano già noti al nostro Ruggero. Non si diviene giudici inquisitori per caso: bisogna studiare molto, specialmente testi come il già accennato Canon Episcopi. Ruggero l’ebbe certamente tra le mani, visto che alla sua epoca era considerato un po’ come la fonte della giurisprudenza in materia, uno scritto che per secoli guidò l’agire degli inquisitori e dei teologi, non osando costoro contraddire quanto esso vi era contenuto.

IL SUCCESSO DI UN LIBRO
Verso il 906 l’arcivescovo di Treviri chiese a Reginone, abate di Prum di scrivere una guida utile ai vecovi in visita alle loro diocesi. Si diede da fare e ne venneo fuori i Libri de synodalibus causis et disciplinis ecclesiastic, dove incluse anche un canone probabilmente derivato da un più antico capitolare, che confluì in seguito nel Decretum di Burcado di Worm (965-1025), erroneamente attribuito al concilio di Ancira del 314. Il testo, conosciuto come Canon Episcopi dalla sua frase iniziale, “Episcopi episcoporumque ministri”, non ha niente a che vedere, come si pensò per tutto il Medioevo, con quel sinodo, ma è comunque la più antica fonte che conosciamo riguardo a queste donne che volano nell’aria.
Vera pietra miliare teologica per quanti si occuparono del problema, teologi o inquisitori, a favore o contro la realtà di quanto asserivano le streghe, ne riportiamo un brano significativo, tentando anche di mostrare quale fosse lo stato della credenza al Mille.

VOLI DELLA MENTE
“Né bisogna dimenticare che certe donne depravate, rivolte a Satana, e sviate da illusioni e seduzioni diaboliche, credono e affermano di cavalcare la notte alcune bestie al seguito di Diana, dea dei pagani (o di Erodiade), e di una innumerevole moltitudine di donne: di attraversare larghi spazi grazie al silenzio della notte profonda e di ubbidire a lei come loro signora e di essere chiamate certe notti al suo servizio . Volesse il Cielo che soltanto loro fossero perite nella loro falsa credenza e non avessero trascinato parecchi altri nella perdizione dell’anima! Moltissimi, infatti, si sono lasciati illudere da questi inganni e credono che tutto ciò sia vero, e in tal modo si allontanano dalla vera fede e credendo che siano altri dei o divinità, oltre all’unico Dio. Perciò, nelle chiese a loro assegnate, i preti devono predicare con grande diligenza al popolo di Dio affinchè si sappia che queste cose sono completamente false e che tali fantasie sono evocate nella mente dei fedeli non dallo spirito divino ma dallo spirito malvagio.
Infatti durante le ore del sonno inganna la mente che tiene prigioniera, alterando visioni liete a visioni tristi, persone note a persone ignote, e conducendole attraverso cammini mai praticati: e benché la donna infedele esperimenti tutto ciò solo nello spirito, ella crede che avvenga non nella mente ma nel corpo.
Per ora, vogliamo solo rimarcare una frase di quanto abbiamo letto, una frase che diverrà l’unico baluardo o difesa delle streghe per tutto il Medioevo: “queste cose sono completamente false”. Burcardo chiama Signora della notte anche Holda, un nome ben noto alle popolazioni tedesche dell’Assia (dove tra l’altro era nato) fino al XIX secolo. Se il nostro Ruggero fosse vissuto nel secolo seguente, inoltre, avrebbe potuto leggere i Sermones di Johannes Herolt dove, riprendono il brano citato del Canon, si parla di “coloro che credono che durante la notte Diana, chiamata in lingua volgare Unholde, ossia la donna beata..”
Quasi lo stesso nome di Bucardo, quindi. Ma nelle edizioni successive a quella di Colonia del 1474, vedremo che qualcuno si prenderà la briga si esemplificare ancora meglio questa misteriosa Signora definendola fraw Berte e fraw Helt, colei che ancora oggi ricordiamo nel nostro modo di dire “quando Berta filava”
Un turbinio di nomi, un vero e proprio carosello onomastico sembra sfilarci davanti: Oriente, Diana, Erodiade, Holde, Berte… Eppure, ditro l’eterogeneità dei nomi, si cela un sostrato comune, occultato e al tempo stesso illuminato da sinonimi registrati da Beltramino e dai suoi colleghi.

I BANCHETTI DI ERODIADE
La più nota Diana sembra fondersi con altre figure che appartenevano alle varie tradizioni locali europee: Erodiade innanzitutto, la nota moglie di Erode che fu causa della decapitazione di Giovanni Battista. Una donna biblica che il Medioevo confuse con sua figlia salomè e condannata, nelle leggende popolari, a girare il mondo in compagnia del diavolo e degli spiriti maligni. Diventerà quindi colei che guida la caccia selvaggia composta dalle anime dei morti.
Parla di lei, già nel X secolo, il vescovo di Verona Raterio, che nei Praeloquia racconta dei tanti che “oggi vengono ingannati con tali cose fino alla perdizione dell’anima…e che considerano Erodiade, l’assassina di colui che battezzò Cristo, quasi una regina, anzi una dea; essi sostengono che le è stata consegnata la terza parte del mondo come ricompensa per l’uccisione del profeta, ma bisogna dire che sono i demoni che con tali prestigi ingannano, grazie alla loro dissolutezza, le povere donnicciuole e gli uomini più biasimevoli.”
Come Madonna Oriente, anche lei propone banchetti a base di carne umana intorno a una tavola, “com’è, ad esempio, il caso di coloro che ritengono di riunirsi di notte e convocare colei che ama la notte, ovvero Erodiade…
Inoltre affermano di esporre i bambini alle lamie, i quali vengono prima dilaniati e ingoiati con voracità e ingordigia e poi, grazie alla pietà della loro guida, ricomposti, vomitati e rimessi nella loro culla. Nonostante la ripugnanza, anche questo passo tratto dal Policraticus, sive de nugis curialium (1156-59-) di Giovanni di Salisbury mette in luce la misericordia, la bontà della figura che altrove (gli Statuti di Augurio il vescovo di Conserans, 1280) sarà chiamata anche Bensoria o Bensozia (Bona Socia)
Né manca un tocco di romanticismo nel poema latino Reinardus (XII secolo), dove la donna è descritta come moesta hera (mesta signora) per il suo triste destino: è costretta infatti a stare seduta sulle querce o sui noccioli da mezzanotte al primo canto del gallo, mentre il resto del giorno fluttua nell’aria, spinta continuamente dal soffio proveniente dalla testa mozzata di Giovanni Battista, alla quale la donna si era avvicinata in un ultimo, disperato, gesto d’amore.

METÀ FATA METÀ DEMONE
Nel Reinardus Erodiade viene anche chiamata Pharaildis, nome dietro il quale, pur non escludendo altre ipotesi, potrebbe nascondersi un tedescoVerelde, o Frau Hilde, Frau Holde, che rimanderebbe ancora alla già vista Holda, identificata con la regina delle donne che vagano la notte.
Quest’ultima figura, a metà tra fasta e demone, è quella che ha avuto più fortuna nelle tradizioni popolari del Centro Europa, rimanendo viva e presente ben oltre il XIX secolo. Ancora oggi si racconta dei suoi viaggi nel cielo, tra Natale e l’Epifania , e i fiocchi di neve non sarebbero altro che le piume che cadono quando si rifà il letto. In un processo di stregoneria del 1630 è descritta dal volto leggiadro come quello di una fata ma dalla schiena ruvida come la corteccia di un albero. Nella Epistolische Schatzkammer, del 1683, viene anche presentata come una ninfa che vive in uno stagno o in un lago, chiamato Hollenbad. Precedentemente, in un libro di favole del 1550, vediamo Holda possedere un esercito di donne, mandate in aiuto di contadini in pericolo.
Eppure, dietro questi nomi diversi ed evocativi continuano a celarsi significati positivi, beneaugurati. Come Holda, talvolta tradotto con propizia, ma anche Berta, Berta, Perchta, che numerose tradizione vedono connesse l’antico tedesco perlata naht, la “luminosa notte” e Damina Abundia, di cui ci parla il vescovo di Parigi Guglielmo d’ Algerina: “Ancora oggi vecchie malate di mente credono che questo demone, sotto sembianze femminili, frequenti di notte in compagnia di altre donne le case e le cantine: e la chiamerò Satia, da satietatis e domina Abundia, da abuntantia, che dicono assicuri alla casa che visitato”.
Buone donne, quindi bonae res che, come la compagna Sibilla e Pierina, hanno il potere di far rinascere gli animali o aumentare i beni degli uomini: “sono demoni di tal fatta, chiamate signore dalle vecchie, che le fanno sognare e le illudonoche queste donne si nutrano e si dissetino con cibi e bevande che trovano nella case, senza che questi diminuiscano mai,”

E BOCCACCIO LA METTE IN BURLA
Alla metà del Trecento, Giovanni Boccaccio arriverà a farci ridere di queste riuniono notturne, descrivendo la burla fatta a maestro Simone da Villa da parte di Bruno e Buffalmacco.
Entrambi, questi ultimi, vivono in gran letizia, suscitando curiosità, e forse invidia da parte di maestro Simone, “più ricco di beni paterni che di scienza”. Bruno non si fa scappare l’occasione di ridere alle spalle altrui e così gli spiega la ragione della loro felicità: “Non andiamo in corso, e di questo ogni cosa che a noi è di diletto o di bisogno, senza alcun danno d’altrui, tutto traiamo; e da questo viene il nostro viver lieto che voi vedete”. Fu così che il curioso Simone volle vedere da vicino questo “andar in corso”, cioè alle riunioni notturne che abbiamo già visto, e fu così che fece una fine ridicola, grottesca, ma meritata:” gittato in una fossa di bruttura e lasciatovi.”
Non sappiamo quanto di comico avesse voluto mettervi il Boccaccia in questa novella, o quanto di grottesco, uno stile molto vicino ai riti, ai miti e alle feste della cultura popolare, per lo meno nel senso che ci ha spiegato Michail Bachtin. Sta di fatto che ancora una volta viene qui sottolineata l’innocenza di queste riunioni “senza alcun danno altrui”, rassicurano i protagonisti della nona novella dell’ottava giornata.
Ma siamo ancora nel Trecento, e in letteratura. Le cose avevano già cominciato a cambiare, complici vari fattori, diverse mentalità e differenti punti di riferimento, soprattutto culturali, teologici e giuridici. Queste innocenti, talvolta allegre brigate di donne (e uomini) guidate da esseri soprannaturali femminili cominciavano ad essere criminalizzate, condannate, o quanto meno calunniate. Ma per tentare di delineare un quadro più completo di cosa facessero queste donne e questi uomini, forse dovremo scavare di più nella vita e nel mondo di Pierina e Sibilla, per quanto ci è possibile. 

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