Presentazione

Nell’immaginario contemporaneo magia e stregoneria sono spesso associate al periodo cronologico che siamo soliti definire “Medioevo”. Non è sufficiente che innumerevoli studi abbiano ormai ampiamente sfatato il mito di un Medioevo “buio”- dominato dall’irrazionalità e dunque pervaso di magia o punteggiato dai roghi delle streghe-, oppure notare come ampie porzioni della cultura classica siano incomprensibili se si prescinde dai fenomeni magici e come l’età moderna, ben più di quella medievale, sia stata caratterizzata da feroci “cacce alle streghe “: nei media e nella cultura diffusa certi pregiudizi appaiono difficili da superare.
Ma cos’è dunque la magia? Definirla una volta per tutte non è probabilmente possibile. Sappiamo anzi quanto le contrapposizioni tra dimensione “religiosa” e “magica”, se fornite in senso assoluto, possano risultare fuorvianti. L’accezione medievale di magia era infatti molto meno onnicomprensiva e generica di quella odierna. La tradizione dei “maghi” come esperti di un arte “colta”, che li distingueva dal mondo folclorico collegandoli strettamente con la gnosi, risale ai Padri della Chiesa; si ritrova per esempio negli scritti di Tertulliano e di Agostino. Nel VII secolo l’enciclopedista Isidoro di Siviglia, nella sua opera sulle etimologie, riprendeva il loro parere affermando che “il primo dei maghi fu Zoroastro re della Bactriana”, e aggiungendo che da questa vane arti magiche per volontà diabolica si erano diffuse la divinazione e l’evocazione dei defunti, cioè la negromanzia.
Questa definizione condensava in pochi tratti un’immagine della magia che i secoli successivi avrebbero sviluppato in vari modi: un’arte demoniaca, proveniente dal lontano, misterioso Oriente, in grado di ingannare gli uomini con la falsa promessa di mostrar loro il futuro, ciò di conferir loro poteri superiori, “Mi sono dato pertanto alla magia, se mai il potere o la parola dello Spirito mi rivelassero qualche segreto”: sono queste le parole che Goethe fa pronunciare al dottor Faust, nell’opera che rappresenta al contempo la sintesi e il massimo apogeo del tema del patto fra l’uomo e il diavolo.
Tuttavia, altri fattori avrebbero contribuito alla formazione delle credenze magiche medievali. L’acculturazione cristiana fra età tardoantica e primo Medioevo aveva condotto a una sovrapposizione della nuova fede rispetto a culti molto diversi gli uni dagli altri, senza che fosse tuttavia possibile cancellarli completamente. Lo sradicamento di queste “sopravvivenze” costituì nei secoli altomedievali, e anche oltre, una delle principali preoccupazioni per gli evangelizzatori. A partire dall’ XI-XII secolo, la reintroduzione in Occidente di branche della cultura scientifico-filosofica di matrice classica, veicolate attraverso le elaborazioni e le traduzioni arabe ed ebraiche, riportò in auge forme relativamente nuove del sapere “magico”, che sembravano rivitalizzare la tradizione di quella magia “colta” che già il primo mondo cristiano si era trovato a fronteggiare.
E’ probabilmente l’insieme di questi fenomeni a spiegare quella che potremmo definire la “reazione antimagica” del tardo Medioevo, che prese piede non solo nel mondo ecclesiastico, ma anche in larghi strati della nascente borghesia urbana. Tale atteggiamento si esercitò senza troppe distinzioni tanto nei confronti delle cosiddette “superstizioni popolari” quanto verso la magia “colta”, che non era tuttavia solo magia demoniaca, ma costituiva anche una branca importante di una più ampia riflessione di tipo filosofico sul ruolo e le possibilità operative dell’uomo di fronte alla natura e al cosmo. Questo clima di sospetto diffuso verso il fenomeno magico venne a coincidere con quel momento di profondo malessere delle società europee corrispondente alla crisi del Trecento; e forse fu da allora che l’occidente ha progressivamente relegato il sapere e le concezioni magiche nell’ambito squalificante della “vana superstizione”. Ripercorrere la storia del fenomeno magico può allora aiutare a far luce su una vicenda complessa, che ha costituito una parte non marginale della nostra cultura. 

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