Nasce l'inquisizione

Alle prime misure adottate contro le sete non ortodosse dal concilio Laterano III, seguono quelle prese dal papa Lucio III e dal Barbarossa. Parola d’ordine, stroncare con ogni mezzo qualsiasi sussulto eretico.
Ma i gruppi eretici non riscuotono solo simpatie, tra la gente. Anzi spesso questa partecipa attivamente alla repressione di ciò che presume siano pericolose devianze religiose , con il sostegno più o meno tacito delle autorità civili o religiose. Così, nel 1114, alcuni dissidenti di Soissons vengono brutalmente assassinati.
Non sapendo che pesci prendere, il vescovo locale Lisiard assicura gli eretici in carcere e manda a chiedere consiglio al sinodo di Beauvais. Ma, si sa, in questioni del genere tutti vanno con i piedi di piombo e ci fu molto da attendere. La folla, stanca di vedere che nulla era ancora stato fatto, si fece giustizia da sola: prese i prigionieri dalle loro celle e li bruciò su dei roghi accesi alla meglio fuori città. Più di venta’anni dopo, a Saint-Gilles-du Gard, l’anziano sacerdote pierre de Bruis aveva preparato nella piazza del paese un rogo, per gettarvi dentro i crocifissi confiscati in alcune chiese. Il suo era un gesto dimostrativo, o per lo meno così avrebbe voluto che fosse: l’epilogo di una lunga battaglia contro ogni aspetto puramente materiale della religione cristiana. Ma gli abitanti di Saint-Gilles-du Gard non sapevano ben distinguere tra atto dimostrativo e profanazione, perciò presero l’anziano contestatore e senza tanti complimenti lo gettarono nel fuoco, al posto del crocifissi. Di fronte ad atteggiamenti del genere, alle diverse reazioni che sia il popolo sia il clero aveva nei confronti dei movimenti eretici, il Papato doveva fare qualcosa, prendere posizione, per tentare d canalizzare quelle imprevedibili reazioni popolari.

LA CHIESA PRENDE POSIZIONE
Scriveva in proposito Bernardo di Chiaravalle (1090-1153): “Non approviamo lo zelo del popolo, ma non ciò che esso produce, perché la fede è un’opera di persuasione e non s’impone con la forza”.
Vista la pericolosità e la rapida diffusione di questi nuovi manichei, la Chiesa fece il possibile per tentare di eliminarli: se i concili di Montpellier (1062) e di Tolosa (1119) chiesero, ma senza precisarne i modi, l’intervento dei poteri secolari, nel Concilo Laterano III (1179) si cominciarono a delineare le procedure da adottare con gli eretici e il canone 27 ne dichiarò la scomunica e chiese di combatterli anche con una crociata.
Cinque anni dopo, alla conferenza di Verona, Lucio III e l’imperatore Federico Barbarossa definirono le modalità delle indagini da condurre sulle sette ed enunciarono una serie di punizioni da infliggere agli eretici: è allora che vengono emanate le Costitutiones, che prevedono l’obbligo, da parte di coloro che ne avevano autorità, di punire i Catari, pena la scomunica, di confiscare i loro beni e di allontanarli da ogni tipo di pubblico ufficio. Ai vescovi, inoltre, correva l’obbligo di visitare almeno due volte l’anno le loro diocesi allo scopo di individuare gli eretici che vi risiedevano.

AL PAPA L’ULTIMA PAROLA
Può essere considerato questo l’atto di nascita della cosiddetta Inquisizione vescovile, dove la pena auspicata sembra non essere ancora quella di morte. Una cosa dovrà però essere chiara: la decisione ultima in materia di eresia spetta al Papato. Coaì, se nella decratale Ad abolendam, frutto della conferenza di Verona c’è ancora una collaborazione tra sacerdotium e regnum, la successiva decretale Vergentis in senium di Innocenzo III (1199) mostra la precisa volontà di guidare il potere civile: la repressione dell’eresia è ormai compito ineludibile del potere politico ma, e ciò dovrà essere chiaro per tutti, stabilire ciò che è ortodosso e ciò che non lo è sarà compito esclusivo della gerarchia ecclesiastica, in primo luogo del papa.
All’alba del Duecento una cosa sembra ormai chiara: la predicazione dei pur bravi monaci cistercensi non ha dato i frutti sperati, da sola non può bastare. Fu allora che Innocenzo III concepì due progetti: una crociata legale. La prima, del 1209, fu indetta contro gli Albigesi dopo l’assassinio del legato pontificio Pietro di Castelnau. Dopo alterne vicende la crociata si concluse vent’anni dopo, con un successo politico del re di Francia Luigi IX e pochi risultati dal punto di vista religioso, eccetto forse una diminuzione dei Catari, dovuta al loro massacro però. Non a convincimenti religiosi.

DELAZIONE E SOSPETTO
L’altra decisione di Innocenzo III, oltre quella di riaffermare la sua condanna verso le eresie, fu quella di rinnovare totalmente la vigente procedura criminale: fu così che nacque la cosiddetta “procedura d’ufficio”, basata sulla delazione e il sospetto.
Un tale tipo di procedura aveva l’enorme vantaggio (per gli accusatori) di mettere in piedi un processo senza un capo d’accusa preciso, basandosi anche sul “sentito dire”. Era evidente che la figura dell’inquisitore delegato dalla Sede Apostolica aveva un ruolo centrale e dei poteri che superavano quelli del precedente collega vecovile.

LA FOLLIA DEL BULGARO
Potremmo renderci conto di cosa potesse significare l’indipendenza degli inquisitori analizzando due casi rimasti tristemente famosi nella storia della Chiesa: l’operato di Corrado di Marpurgo in Renania e di Roberto il Bulgaro in Francia.
La Bulgaria fu la terra attraverso la quale ritornò in Occidente la dottrina dualistica e manichea definita catara. Fu per questo che l’eretico Roberto, dopo la sua abiura e l’adesione all’Ordine domenicano, venne detto “Il Bulgaro”. Come spesso accade ai convertiti, fu uno dei più zelanti ricercatori e persecutori della sua antica fede, e per i suoi “meriti” fu scelto dal papa come inquisitore generale per il Regno di Francia . Nel 1233 fece mettere al rogo diversi Catari, provocando però le proteste degli arcivescovi di Sens e di Reims. Nonostante ciò il papa gli rinnovò la fiducia, esortandolo ad andare avanti. Roberto non si perse d’animo e , confortato e rafforzato nella fede e nella carica, sei anni dopo sterminò 250 presunti eretici, mandandoli al rogo e seppellendoli vivi. Di fronte a tanta crudeltà, e alle numerose lamentele che il suo operato stava sollevando, ci fu un’inchiesta papale, guidata dal benedettino Matteodi Parigi (che da poco aveva iniziato la sua Cronica malora). Il processo portò a galla le enormità commesse dall’ex cataro, che gli fruttarono la condanna alla prigione perpetua.

UN CAMPIONE DI FEROCIA
Ancora più atroce fu il comportamento di un altro inquisitore, Corrado di Marburgo, che finì assassinato lungo la strada da Magonza alla sua città natale. Questi fu un personaggio da brivido: dotato di ottima cultura e di forte personalità, aveva un aspetto cupo e minaccioso, sottolineato da una magrezza che lasciava presupporre volontarie e ripetute astensioni, se non mortificazioni, corporali. Trascorse molti anni alla corte di Turingia, dove fu confessore della ventunenne contessa, (Santa) Elisabetta, che sottoponeva a privazioni e mortificazioni assolutamente straordinarie, anche per i modelli dell’epoca. Le sue lievi mancanze giovanili erano punite d Corrado con severe fustigazioni, che lasciavano segni anche dopo molte settimane. Già nel 1215, e poi nel 1227, ebbe l’incarico di predicare la crociata contro l’islam, riscuotendo un enorme successo: pare che quando si spostava da una città all’altra, sempre a cavallo del suo evangelico sino, venisse accolto e accompagnato da vere e proprie processioni di uomini e donne, religiosi e laici, con tanto di incensi, candele e stendardi. La sua carriera fu costellata di successi, come quando predicò a Strasburgo, riuscendo immediatamente a far bruciare due presunti eretici. Eppure, la sua profonda e tenebrosa fede non gli permise mai di peccare di superbia, rimanendo sempre un semplice prete. Tanta ostinazione gli fece meritare l’alto ufficio di inquisitore di Germania, nel 1231.
E’ probabile che la bolla cui abbiamo accennato prima, la Vox in Rama di Gregorio IX, fosse basata proprio sui resoconti delle credenze “eretiche” che il fedele e attento Corrado mandava periodicamente al papa. Un più che probabile riscontro di ciò potremo averlo comprando le superstizioni che il papa attribuiva nella sua bolla agli abitanti renani (il bacio al rospo, l’uomo magrissimo e pallido, il gatto nero..) e gli interrogatori condotti da Corrado, tesi a far confessare alle sue vittime, secondo una lettera dell’epoca dell’arcivescovo di Magonza, di aver baciato rospi, gatti, di aver visto alle riunioni un uomo pallidissimo e così via.
All’epoca del suo mandato, Corrado incontrò in Germania altri due inquisitori, in realtà non ufficiali e, pare, nominatisi da soli: Corrado Dorso e un tale Giovanni, delle cui menomazioni fisiche gli Annali non ci dicono molto. Due ex eretici assolutamente malvagi, pur nella loro lucidità e lungimiranza politica. Al principio pare che avessero davvero scoperto alcuni eretici, ma poi persero letteralmente la testa, accusando in pratica chiunque, colpevoli e innocenti. “Ne bruceremmo un centinaio volentieri, se solo uno di loro fosse colpevole”, pare amassero ripetere i due criminali quasi a scusarsi delle loro poco avvedute conduzioni dei processi. All’operato di questi due individui si aggiunse quello, corredato di nomina arcivescovile, se non papale, di Corrado di Marburgo.

LA PROVA DEL PENTIMENTO
I risultati furono disastrosi, ovviamente, per chi aveva la disgrazia di essere accusato: non aveva neanche il tempo, né la possibilità, di difendersi e, nel caso assolutamente non peregrino che venisse condannato, non gli era permesso neanche di vedere il proprio confessore. Se possibile veniva giustiziato lo stesso giorno dell’arresto. Per salvarsi la pelle, c’era un solo modo: dichiararsi eretico e mostrare l’attesa prova di pentimento. Cioè a dire, dopo aver rasato i capelli, fare i nomi di tutti i compagni di eresia e specificare la “scuola” alla quale si era stati istruiti. In caso facesse loro difetto la memoria, Corrado e i suoi degni compari erano pronti a fornire nomi, principalmente nobili e ricchi, vista la conseguente confisca dei beni prevista in caso di colpevolezza. Era ovvio che gli imputati, pur di salvarsi, accusassero a loro volta chiunque, e ci furono casi di delazione bella e buona. Come fece una donna chiamata Adelheid , che si presentò spontaneamente l’inquisitore come un’eretica pentita, solo per denunciare i suoi parenti, che stavano tentando di portarle via un’eredità che ella considerava sua: Corrado di Marburgo li mandò tutti al rogo. Quello di confessare ciò che volevano i giudici, d’altronde, doveva essere una prassi comune e consigliata, come suggeriva una donna, Maria de Jureteguia, a sua zia, imputata in un processo nei Paesi Baschi al principio del Seicento: “Anche se sono menzogne da cima a fondo devi confessare, se no non uscirai mai dal carcere.”

A CAVALLO DI UN GRANCHIO
Ma dopo un anno e mezzo di follia omicida disseminata tra le città di Erfurt, Marburgo, Magonza, Bingen e Worms, Corrado si fece prendere troppo la mano, arrivando ad accusare anche il conte Enrico di Sayn, grande feudatario e proprietario terriero, oltre che cattolico devoto, benvoluto da tutti gli abati e sacerdoti di chiese e monasteri, beneficiari delle sue generose donazioni. Il conte Enrico, avvezzo più al suo destriero che al granchio sul quale fu accusato di cavalcare verso improbabili orge notturne, riuscì a dimostrare la sua innocenza e la sua ortodossia religiosa, riportando una vittoria schiacciante sul suo accusatore Corrado. Questi, livido di rabbia, partì da Magonza con il suo asino ma, come abbiamo detto, fu assassinato sulla pubblica strada. Pare che l’unico a dispiacersi di questa perdita fosse papa Gregorio, che in una missiva al clero tedesco lamentò la scomparsa di quel “servo della luce”, del suo inviato “campione della fede cristiana” , nonché “sposo della Chiesa”. 

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