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di Selene Ballerini
Un tempo, si legge nel Convivio di Fiatone “gli esseri umani avevano forma globulare ed erano di tre sessi diversi: maschile (connesso al Sole), femminile (la Terra) e bisessuale (la Luna)”. La loro potenza era smisurata quanto il loro orgoglio, che li spinse incautamente a tentare di scalare il cielo per combattere le divinità. Zeus, allora, per punire la loro superbia li divise in due, creando così i presupposti per l’Amore: infatti, ciascuno e ciascuna di noi, poiché era in origine un’unità scrive Fiatone “continua ad andare in cerca della metà che gli corrisponda. E gli uomini provenienti dal taglio di quell’animale comune che si chiama andrògino amano assai le donne. Patimenti derivano di qui le donne che vanno in cerca dei maschi. Invece, le donne che sono un taglio del sesso femminile non si curano dei maschi, ma piuttosto hanno una propensione per le altre donne. Quanti, infine, sono taglio del sesso maschile vanno dietro ai maschi”. Così l’amore può essere definito come “il desiderio appassionato della primiera totalità e lo sforzo d’ottenerla una seconda volta”, in un’aspirazione a “confondersi con la persona amata: di due diventare uno”.
Nell’antropogenia platonica, dunque, l’anima gemella non ha sempre le fattezze del sesso opposto, ma può essere simile a noi, e ciò spiegherebbe secondo il filosofo, la predisposizione omoerotica, che per la sua intrinseca sterilità potrebbe apparire contronatura. Ed è proprio a una lesbica, anzi a colei da cui il termine deriva, che affidiamo l’avvio di quest’esplorazione in alcuni meandri della Magia Sessuale: la poetessa greca Saffo, che appunto nacque, visse e operò a Lesbo, incantevole isola dell’Egeo tuttora rinomata per le sue bellezze naturistiche (ospita fra l’altro una delle due foreste pietrificate del mondo), e dove il mito vuole che sia approdata la testa del cantore Orfeo quando fu smembrato dalle Baccanti di Tracia.
“DIVINA, DOLCE, RIDENTE SAFFO”
Nobile, vissuta tra VII e VI secolo a.C., la poetessa le cui parole Plutarco definì “commiste a fuoco” era probabilmente di origine troiana e, quindi, avrebbe brillato in lei una favilla della perduta poesia di Ilio. Saffo ebbe tre fratelli, un marito e una figlia e, a causa di lotte tra famiglie aristocratiche, fu costretta a un esilio in Sicilia. Ma a Saffo la politica non interessò mai: il suo mondo era, infatti, esclusivamente orientato all’arte, cui si dedicò con accesa passione, assumendo peraltro a Mitilene la direzione di una scuola-comunità (il tiaso) per fanciulle, che in un ambiente di raffinata eleganza venivano da lei iniziate alla cultura poetica, alla danza e al canto in mezzo a boschi e prati, allietati dal mormorio dei ruscelli. In tale atmosfera idillica soltanto a una divinità era riservato il culto: Afrodite, nella convinzione – per usare le parole di Saffo – che “più bello di ogni cosa è ciò che si ama” L’Amore, che descrisse con sintetica espressione “dolce, amaro, indomabile serpente” (frammento 130), era il centro di gravità permanente di Saffo, che pur sposata a un uomo amò molte delle sue fanciulle, con emozioni così travolgenti da fare di lei una delle interpreti massime dell’innamoramento e anche del mal d’amore, i cui sintomi sono dettagliatamente spiegati nel frammento 31, che fu poi riproposto dal latino Catullo, dove descrive cosa prova nel vedere la ragazza amata.
Una poesia di cui Quasimodo ci ha offerto questa splendida versione italiana “A me pare uguale agli Dei / chi a tè vicino così dolce / suono ascolta mentre tu parli / e ridi amorosamente. Subito a me / il cuore si agita nel petto / solo che appena ti veda, e la voce /non esce e la lingua si lega. / Un fuoco sottile sale rapido alla pelle/e ho buio negli occhi e il rombo / del sangue alle orecchie. / E tutta in sudore e tremante / come erba patita scoloro: / e morte non pare lontana/a me rapita di mente”.
Nell’antico trattato attribuito allo Pseudo-Longino, fu esaltata la capacità con cui qui la cantrice di Lesbo “analizza a un tempo l’anima, il corpo, gli orecchi, la lingua, gli occhi, la pelle come distinte l’una dati all ‘altra e come per via d’opposizioni agghiaccia e insieme arde, delira, ragiona, in guisa che in lei non si manifesta una sola passione, bensì un concorso di passioni. E tutte queste cose avvengono agli amanti e comporle in unità costituisce l’eccellenw” (Del sublime).
“EROS HA SQUASSATO IL MIO CUORE”
In effetti, in questo “sublime” carme di Saffo sono presenti tutti i sintomi della cosiddetta “malattia d’amore” come furono poi descritti con rigore scientifico dai medici della scuola d’Ippocrate verso la fine del V secolo a.C. Secondo questa scuola, la salute dipenderebbe dalla corretta combinazione dei quattro umori dell’organismo umano: sangue, flemma, bile gialla e bile nera. Quando un umore prevale sugli altri viene a crearsi uno squilibrio e, quindi, la malattia. Nella fattispecie il mal d’amore fu connesso con la bile nera, a cui venivano attribuiti malesseri psicofisici come le palpitazioni, i tremori, i balbettii, la depressione, la follia. E poiché la bile nera era anche causa della malinconia, ecco che si ebbe una fusione sempre più stretta tra follia, malinconia e mal d’amore.
Sistematizzata filosoficamente da Aristotele, questa singolare malattia entrò a far parte del curriculum medico dal IV sec. a.C. e gli studiosi del tempo ne elaborarono ben presto una fitta sintomatologia, che rimase pressoché immutata fino a tutto il Medioevo.
Secondo la loro analisi, la persona innamorata, dopo essere stata colpita da questo morbo attraverso lo sguardo, darebbe segni di anoressia: non ha appetito, dimagrisce, scolora nel volto, ha le membra deboli, eccetto gli occhi, che non perdono mai il fervore; la vista, tuttavia, s’indebolisce, la lacrimazione scompare e tutto il corpo subisce una graduale essiccazione. Altre peculiarità dell’aegritudo amorìs sono l’aritmicità del battito cardiaco e quindi del polso, l’emissione di profondi sospiri, il repentino cambiamento d’umore, lo sbigottimento e il tremore, che colgono nel vedere all’improvviso l’amata o l’amato e la tendenza a perdere interesse per le normali attività, trascorrendo tutto il tempo pensando a lui o a lei, alle sue forme, al suo modo di fare, alla sua voce.
Ma questi sono ancora i primi stadi del morbo, che scomparirà non appena il desiderio d’amore sarà soddisfatto. Ma se l’attrazione non viene corrisposta? Allora la pena amorosa si trasforma in una vera e propria malattia e sui sistemi per arginarla i medici erano tutti concordi: occorreva fare numerosi bagni, uscire, ascoltare storie, bere molto vino, ma soprattutto dedicarsi intensamente all’attività fisica e in particolare a quella erotica, per disperdere la fissazione sull’immagine amata.
Se i rimedi non risultano efficaci il mal d’amore può degenerare nella morte – magari per suicidio – o in un disorientamento psichico simile alla licantropia, associazione quest’ultima, presente anche nella poesia occidentale: si pensi alle gesta di Tristano oppure a Orlando dell”Orlando Furioso, che per il dolore d’amore impazziscono e vagano per i boschi come animali selvaggi.
L’Amore a senso unico può dunque, manifestarsi quale follia solitaria, mentre quello corrisposto come un’estasi a due. Ma ciò che è comune ad ambedue i tipi d’innamoramento è quella sorta di possessione per cui si è colmi, intrisi, invasi (e invasati) della persona amata, che occupa l’intera nostra mente, tanto da alterare sia funzioni fisiologiche come nutrirsi e dormire, sia le interrelazioni, a tal punto che anche l’odio che potevamo sentire verso altri può affievolirsi fin quasi a scomparire.
Dentro di noi, infatti, c’è spazio solo per l’Amore da cui siamo stati presi.
“Lo AMORE È MAGO”
Delle quattro manie (o stati di ebbrezza) di cui si parla nel Fedro di Fiatone: profezia, purificazione mistica, poesia e amore – attraverso le quali giungono agli esseri umani “i beni più grandi” – è quest’ultima, scrive il filosofo “la più eccelsa”.
L’esoterista romano Julius Evola, che nel suo interessante saggio Metafìsica del sesso dedica al mal d’amore un’ampia disamina, dopo aver analizzalo le referenze sapienziali di cui cene terminologie amorose comunemente usate sarebbero il riflesso (per esempio: “sono pazzo di tè”, “mi fai morire”, “mi sei entrata nei sangue”, per non parlare della parola “fascino”, che deriva dal latino fascinum. “incantamento””, ricorda come Novalis, narratore e lirico, uno dei massimi esponenti del romanticismo tedesco, scrisse “che nelle malattie vi è della “trascendenza “: che sono fenomeni di una sensazione esaltata che tende a tradursi in forze superiori: che quel che presenta carattere negativo contiene spesso uno stimolo ali’intensificazione del positivo”. Perle di saggezza di un poeta che ricordano un basilare principio dello sciamanismo e della magia in genere, cioè che ogni salto qualitativo passa attraverso un’ordalia o crisi, superando la quale – e soltanto così – è possibile riconfigurarsi in una forma nuova e più complessa.
L’annotazione introduce alla possibilità d’interpretare il mal d’amore come correlativo esistenziale di quel che la malattia iniziatica rappresenta nello sciamanismo: è risaputo, infatti, che l’accesso alla condizione di sciamano avviene quasi universalmente anche attraverso una malattia, che si manifesta appunto, al pari del tormento d’amore, come uno stato letargico o di agonia, che fa sentire imminente la morte (ed è fin troppo noto il binomio archetipico tra eros e thanalos la “morte”). In un certo senso, potremmo dire che la malattia d’amore può costituire una forma intensa, quanto essenziale, d’iniziazione alla vita e al suo pullulare di emozioni, sentimenti, percezioni. E poiché la magia è la capacità di elaborare creativamente gli eventi, estemi, ma soprattutto interiori, ecco questo speciale tormento rivelarsi in tutta la sua pregnanza magica quale via privilegiata alla conoscenza dell’animo umano e delle passioni che muovono il mondo.
Ma l’Amore – inteso nella sua radicalità universale – ha anche un’ulteriore valenza magica che pone quest’energia al centro della Vita Universa e giustifica l’antica credenza greca che Eros fosse il Dio primigenio e cioè il fatto che il Cosmo si regge sul collegamento, sull’attrazione, sulla simpatia, in definitiva sull’Amore che lega le varie parti.
L’Amore, spiega il filosofo neoplatonico Marsilio Ficino commentando Fiatone, in quanto principio vitale di unificazione è mago, poiché la sua vis (potenza) è proprio il trans/erre, cioè la reciproca penetrazione di forze, e la magia, si legge nel suo Sopra lo Amore: “è un certo tiramento dell ‘una c’osa ali ‘altra per similitudine di natura.
Le pani di questo mondo, dependendo tutte da uno Amore. si connettono per comunione di natura. E la Natura per lo scambievole Amore Maga si chiama”).
Ancora Fiatone c’insegna – quasi inavvertitamente – che l’Universo non è solo materia e solo spirito, ma una relazione o scambio d’informazioni tra questi due soggetti: Eros, infatti, sorgerebbe proprio dall’incontro fra il Vuoto (penia, l’indigenza: materia oscura, invisibile, di segno -) e il Pieno (poros, le risorse: realtà manifesta, materia tangibile, di segno +). Idee riscoperte oggi dalla nuova Fisica, che ha dimostrato come l’Universo sia, in sostanza, un’immensa rete di informazioni reciprocamente intrecciate, dove ogni parte contiene l’altra in un gioco vicendevole di rimandi e rispecchiamenti che ricorda il celebre, antico assioma ermetico della Tabula Smaragdina: “Ciò che è in Basso è come ciò che è in Alto e ciò che è in Alto è come ciò che è in Basso per compiere il miracolo della Cosa Una”.
Questo lo sfondo che occorre tener presente quando si parla di Magia Sessuale, oltre ovviamente al simbolismo che è stato assegnato nei millenni ai due protagonisti principali di quest’operatività e che si è installato archetipicamente nelle nostre coscienze.
LA VULVA E IL PENE
Fin dalla Preistoria la specie umana ha attribuito numinosità alle parti del corpo che sono soggette a modificazioni visibili e tendenzialmente periodiche, tutte connesse ai misteri della sessualità e della nascita, come il ventre femminile che si gonfia con la gravidanza e si sgonfia quando, con il parto, proietta fuori di sé una nuova esistenza. In particolare, la vulva fu oggetto di raffigurazioni sacrali fin dalle epoche più arcaiche, in considerazione del fatto che da questo stupefacente varco della donna ogni mese usciva un misterioso fluido rosso (che segnava così il tempo, proprio come la Luna) e talvolta, esseri umani in miniatura dotati di tutto l’equipaggiamento necessario per svilupparsi, riprodursi e perpetuare così la specie. Elemento analogico alla vulva è nell’uomo il pene, che è appunto in grado d’inturgidirsi e di eiettare linfa vitale. Il suo erigersi, data anche la contrapposizione della postura verticale a quella orizzontale spesso identificata con la morte, è stato sempre interpretato in chiave di vita e risurrezione, come dimostrano nell’antichità il proliferare di dèi itifallici e le diffuse raffigurazioni cultuali del membro virile.
Quale emblema di fertilità il fallo è stato utilizzato nella magia popolare come un amuleto protettivo, mentre in quella colta e operativa, dov’è talora chiamato “lampada di carne”, ha assunto le funzioni metaforiche della Bacchetta grazie alla quale il Magista governa le forze della Natura e del mondo invisibile con cui entra in contatto. Ed è questo il motivo sotteso, seppur talvolta inconfessato, per cui talune organizzazioni iniziatiche o magiche a struttura dottrinaria patriarcale non credono possibile la trasmissione di potere da parte delle donne, essendo queste simbolicamente e psicobiologicamente prive dello “strumento” idoneo… Considerato centro di focalizzazione della potenza irradiante maschile e – a livello cosmico – Asse del mondo, Albero di vita ed energia fecondatrice della Natura, di cui stimola le secrezioni eccitandola, il pene assurge ovviamente alle sue massime potenzialità nell’ambito della Magia Sessuale, sia in quella di gruppo (le “orge sacrali”) o di coppia (con scambio reciproco delle sostanze), sia in quella solitaria, che può contemplare l’alchemica assunzione del proprio sperma per fini autorigenerativi, così come previsto per la donna rispetto alle sue secrezioni vaginali ma soprattutto al mestruo.
MAGIA SESSUALE, SESSUALITÀ MAGICA
Queste annotazioni non sono che la premessa per introdursi in quell’ambito specifico della magia che attiene ai misteri del sesso, del corpo e della fisicità in genere, nei suoi aspetti sia materici, sia di fisiologia sottile.
Ma è un punto di partenza necessario per non disperdersi lungo l’opera intrapresa, per ricordare sempre quali sono i presupposti mitici a cui inevitabilmente ci abbeveriamo, anche se a volte, inconsapevolmente, benché agiscano in noi come carburante delle nostre perlustrazioni interiori. E che il sesso sia stato tanto demonizzato dalla cultura patriarcale e specialmente cristiana, aborrito, disprezzato, temuto ed emarginato non è che un’ulteriore spia – forse una delle più importanti – del suo eccezionale mana (potenza magico-energetica), che lo rende appunto sacro e lo fa percepire in certi ambienti come pericoloso, un tabù da evitare. Ed è qui dunque, più che altrove, che si nasconde il secretum secretorum…