Le forme deteriori del satanismo

Il satanismo acquista colori più foschi quando l’uomo giunge alla perversità di stipulare un “patto col diavolo”, sottoscrivendolo col proprio sangue, in cui dà a Satana la sua anima in cambio di beni, che possono essere longevità, ricchezza, potenza, come riferisce già Teofilo (sec. V), amministratore della Chiesa di Adana in Cilicia; e come leggiamo pure nella leggenda di Cipriano.
Il culto reso a Satana trova un pericoloso e superstizioso fondamento nella credenza in un suo potere fantastico quando viene concepito come una specie di attività malvagia da servire e da conciliarsi, proprio nell’interesse personale. Perciò j . K. Huysmans definiva il satanismo ‘”a gioia proibita di trasferire a Satana gli omaggi e le preghiere dovute a Dio”.
Le espressioni più caratteristiche dei satanismo ci sembrano, fra le altre, le seguenti: l’Inno a Satana di Giosuè Carducci, dell’ottobre 1863, in cui s’intende glorificare in Satana la forza vitale e il progresso moderno; il Lucifero di M. Rapisardi, in cui si dice a Prometeo: ‘”levati, il gran Tiranno è spento” (a. 1887). Sìmile idea è in “La révolte des anges” di Anatole France (1914). Vediamo un satanismo furente nei Chants de Maldaror di Isidore Ducasse, usciti nel 1868 e riediti nel 1927.
Gli esponenti più significativi del satanismo nella metà del secolo XX erano j. P. Sartre, A. Gide (m. 195 1), A. Camus, di cui citiamo: Lesjustes (Paris 1950); L’homme révolté(Paris 195 1).
Le evocazioni sataniche di Lessìng si risolvono in un razionalismo umanitario; lo stesso si dica dell’Eloa (1824) di A. de Vigny; del The Loves of the Angels (1823) di T. Moore; de La chute d’un ange (a. 1838) di Lamartine.
Non terremo dietro agli scrittori che usano il tema di Satana per la satira dei costumi, come fanno Guevara, Lesage, Cazotte, Béranger, Scribe ecc., o per fantasie da scettici, come G. Sand, Balzac, Flaubert, Longfellow. Invece con Williarn Blake (Marriage of Heaven and Hell, 1790) appare un satanismo metafisico, che inneggia all’insurrezione “sacra” dell’uomo contro Dio. Questo del Blake è certamente una delle forme più idealizzate del satanismo settecentesco.
Con G. Byron giungiamo all’iniziativa dell’esaltazione piena di Satana. Egli, infatti, nel Manfredi (1817) e più ancora nel Caino (182 1) esalta il superuomo tenebroso, sconfitto per aver avuto compassione dell’uomo. Egli inoltre modella se stesso nella figura dell’angelo maledetto e trovò il suo ritmo vitale nella trasgressione, specie per peccati più vituperevoli, come l’incesto.
Segue Schelley, che nel Prometeo liberato canta la rivolta dell’incatenato dal furore di Giove.
Robert Southey definì Scuola satanica (the Satanic School) la scuola di Byron e Schelley, in quanto si indugiarono su passioni e sentimenti che entrano nel quadro del satanismo.
Giungiamo a una trattazione blasfema con Lenau nel suo Faust (1836), e con Baudelaire, quando questi nel 1857 invoca Satana “il più bello e il più grande degli angeli”, vittima della gelosia divina; per passare poi all’eversivo e al libidinoso con Le démon di M. Lermontov (1839).
Il marchese De Sade nei suoi romanzi fonde insieme manifestazioni rozze, grottesche, oscene e blasfematorie. A lui fa capo la corrente del “libertinismo” francese, molto vivace nel Sei-Settecento, che alza come stendardo l’inversione dei valori, base del sadismo: il vizio rappresenta per lui e per la scuola che ne promana, l’elemento positivo, attivo della vita, mentre la virtù è l’elemento negativo, passivo. La virtù costituisce solamente il muto che bisogna abbattere, l’ostacolo che si deve superare per giungere al piacere sadico.
Si viene a costituire, così, uno stato d’animo perverso, facilmente riscontrabile in vari autori del Settecento.
J. Michelet nel La sorcière (1862) e il Quinet (Histoire universelle, Introduction) considerano Satana come simbolo della sfida anti-divina e figura emblematica dell’uomo, il vinto di ieri e l’acclamato vincitore di oggi. 

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