La luce nei secreti egizi

di Adriano Forgione
L’eros nell’antico Egitto possedeva un aspetto sacro ed uno profano. Era nell’eros sacro che si celava il nucleo della conoscenza sacerdotale egizia. Miti e libri sacri custodivano celati riferimenti alla forza sessuale degli dei e di come l’uomo, che era destinato a rappresentarli, sacerdote o faraone, poteva usufruirne.
IL FALLO DI OSIRIDE
II simbolismo mitologico più noto circa la relazione tra poteri generatori e divinità è certamente l’uccisione per smembramento di Osiride da parte di Setti. La ricostituzione del corpo scomposto da parte della dea Iside avverrà senza il ritrovamento del fallo del marito/fratello, mangiato da un pesce del Nilo. L’elemento generatore sarà sostituito da una candela che assolverà al suo compito, fecondando la vedova Iside e facendo sì da permettere la nascita del dio solare Horus. La storia, così riassunta, ci permette di comprendere il significato profondo che quest’unione mitica porta in sé, nascosto abilmente dagli antichi egizi. Il potere generante dell’eros è l’elemento di realizzazione per l’uomo, che da essere impuro e imperfetto diviene divino, manifestando così l’energia che lo rende tale. Osiride è l’elemento da sacrificare, la materia o il corpo, che deve unirsi a Iside, la sua controparte femminile, sposa e sorella, cioè l’anima, al fine di ricostituire l’equilibrio originario in cui niente era scisso nella dualità del mondo. Il processo di unione di Iside con Osiride, dell’anima con il corpo, porta con sé l’illuminazione, l’energia che nell’uomo, da potenziale diviene manifesta, cioè lo Spirito divino rappresentato da Horus, il dio Sole incarnato nel mondo. La stessa candela non è un simbolismo scelto a caso. Elemento fallico, quindi, facente parte della sfera dell’eros, rappresenta questo potere generatore che sublima sé stesso, la grossolana materia (la cera) da cui scaturisce la fiamma (lo Spirito). Il fallo quale elemento creatore e rigeneratore è spesso rappresentato nella classica iconografia egizia. A parte Osiride, è il dio Min a rappresentare il prototipo della divinità fallica che dal Nuovo Regno assumerà anche il titolo di Kamutef, cioè “Toro di sua madre”, sottolineando la sua potenza della sua forza sessuale e generatrice. Sia il toro che Min sono associati alla Luna, non in quanto astro, ma in quanto attributo che gli antichi egizi associavano allo sperma quale espressione lunare (bianca) della forza sessuale maschile. E’ ancora nella storia di Osiride che ritroviamo citazioni che celano questa simbologia.
Nei Testi dei Sarcofagi al passo 1080, è scritto: “Questa è la cosa sigillala che sta nell’oscurità, con il fuoco attorno (il serpente ctonio dell’eroe, N.d.A.), contenente l’efflusso di Osiride”, e ancora nei Testi delle Piramidi, voce 32 “Questa tua acqua fredda, o Osiride, si è trasmessa a tuo figlio, è passata a Horus […]. Prendi l’efflusso che proviene da tè”. Si tratta di citazioni relative a un utilizzo sacrale delle secrezioni lunari maschili. L’efflusso per gli antichi egizi era tutto ciò che veniva prodotto ed espulso dal corpo vivente, quindi, le sue secrezioni.
L’ACQUA DI FUOCO
Va precisato che per gli antichi egizi a Osiride venivano associati due forme di acqua divina, “l’acqua fredda” relativa allo sperma e “l’acqua di fuoco” associata al mestruo. Se l’uomo è esteriormente maschile, ma manifesta nell’eros una semenza femminile lunare, la donna per gli antichi egizi era esattamente l’opposto.
La controparte femminile di questi simbolismi, infatti, era legata alle dee e al sangue, quale espressione solare e di fuoco associata al mestruo. In un episodio mitologico in cui la dea leonessa Sekhmet è decisa ad annichilire l’umanità, sarà il dio Sole Ra a intervenire facendole bere una pozione del colore del sangue e trasformandola nella dolce Halhor. Anche qui una splendida metafora in cui l’aspetto violento, pericoloso e mortifero dell’eros, rappresentato dalla dea della guerra, viene sublimato (attraverso l’azione sacra del bere) per divenire espressione d’amore vero (la dea della grazia e dell’amore Hathor). Lo stesso sangue della deflorazione era sacro nell’antico Egitto e vi si attribuivano qualità eccezionali connesse alla rivelazione del nome segreto delle divinità e dei poteri divini di magia. “Conoscere i nomi divini”, significa avere le chiavi di accesso al mondo superiore dopo aver realizzato un cammino di conoscenza e questo era solo prerogativa della classe sacerdotale.
Da ciò si intuisce che il sangue mestruale era bevuto dai sacerdoti, proprio come avveniva a Babilonia con le ierodule, le sacerdotesse del fuoco sacro (col tempo il sangue fu sostituito dal vino). Potrebbe sembrare un’eresia per l’egittologia, ma crediamo di non essere in errore stando a quanto espresso dalla leggenda riportata e dal valore associato al sangue mestruale nella magia egizia. Gli antichi erano consapevoli che le secrezioni erotiche maschili e femminili sono ricche di sostanze ormonali medicinali e curative, come la melatonina e la serotonina e per questo ne facevano uso (come la moderna medicina che, però, utilizza la sintesi di quelle di cadaveri animali). Esistono altri elementi relativi alla possibilità dell’esistenza di una “via sacerdotale” che contemplava il bere il sangue mestruale delle sacerdotesse vergini. Ce lo conferma lo stesso Libro dei Morti (ma scritto per i vivi) al capitolo CXLIX in cui l’iniziato afferma; “O questa residenza dell’Acqua che nessuno dei Glorificati può possedere, poiché la sua acqua è di fuoco. (…) Quando il fiume è pieno e verdeggia come quello che è sgorgato dagli effluvi di Osiride, io mi impossesso della sua acqua […]. Omaggio a te, dio che sei nella residenza dell’acqua. Io sono venuto a te. Concedi che io abbia potere sull’acqua, che io ne beva come tu concedi al dio grande, poiché io sono il dio grande che giunge come il toro Api (…]” I riferimenti erotici di questa frase sono più o meno espliciti. La residenza dell’acqua di fuoco è la zona dei poteri generatori, in quanto l’acqua di fuoco è il riferimento nascosto al sangue mestruale. Sangue e acqua erano due elementi associati alla dea ed è noto che il sangue è considerato elemento liquido di fuoco o solare. “Concedi che io ne beva come tu concedi al dio grande poiché io sono il dio grande che viene come Api”, è un riferimento all’unione dell’elemento solare, l’acqua di fuoco, il mestruo, con quello lunare, lo sperma, il toro Api.
AMRITA E KUNDALINI
Nel templi di Luxor e Abydo sono presenti bassorilievi in cui il faraone offre agli dèi uno o due contenitori di chiara forma fallica, a cui è associato il simbolo del “bere”. Il seme maschile simboleggiato dal latte animale o vegetale (del sicomoro o del fico) e il mestruo femminile sono il nettare e il vettore della conoscenza dei segreti della creazione divina che si manifesta in terra attraverso i secreti (da cui la parola “segreto”) dei suoi emissari umani. Le stesse offerte agli dèi, rappresentate nei bassorilievi come ampolle contenenti latte e vino, non sono altro che metafora di quest’unione del seme maschile (il latte) e del mestruo (il vino), quindi, del Sole e della Luna.
Ciò, secondo la dottrina esoterica egizia, avrebbe portato all’immortalità e al recupero dello stato di Androginia primordiale. Questa mistica unione, frutto dell’opera di riunificazione del sacerdote e della sacerdotessa, si ritrova anche in India con il concetto di amrita, la bevanda degli dèi e dell’immortalità, sinonimo del soma (il seme, la materia da sublimare) e tesoro ottenuto dalla “frullatura dell’Oceano di latte”. Questo episodio cosmogonico e la produzione de\Yamrita, conseguente alla contesa del serpente Vasuki tra i celesti Deva e i demoni Asura, si lega a simbolismi erotici e sessuali più o meno espliciti, relativi all’energia del serpente Kundalini, la forza che dagli induisti è associata all’eros, che sublimato si attiva lungo la colonna vertebrale. Questo episodio e le sue relazioni con la forza deìVeros, hanno la loro corrispondente in Egitto con la lotta fra Horus e Seth, per la supremazia sull’Alto e il Basso Egitto, e la conseguente riunificazione & delle due terre. Le due divinità sono raffigurate nell’atto di tirare una corda attoreigliata attorno a un albero, che ha tutta l’aria di essere una colonna vertebrale. Alla base. infatti, sono poste le ossa coccigee. E lungo la colonna vertebrale, secondo tradizione, che l’energia dell’eros si sublima, elevandosi verso l’alto e portando la conoscenza. Questo processo è rappresentato sia in India che in Egitto dal ser cobra che apre il suo cappuccio, a sancire l’apertura del terzo occhio, il raggiungimento della consapevolezza e lo status di rè divino o meglio di “dio in terra”. Nell’antico Egitto, il concetto di energia Kundalini (che resta una terminologia induista) e di colonna vertebrale quale luogo di maturazione dei poteri divini nell’uomo, possedeva molteplici metodi di espressione a conferma che le cerimonie nei templi, soprattutto quelli Isidei e Osiridei, dovevano essere relative a conseguire quest’unione magica. Lo djed, la colonna vertebrale di Osiride è l’elemento che maggiormente richiama alla mente l’energia dell’eroe che si innalza lungo la colonna vertebrale. La cerimonia della sollevazione dello djed, rappresentata tra i bassorilievi di Abydo è relativa proprio al concetto di risveglio del serpente, dall’energia da lui rappresentata, e conseguente “elevazione” dell’individuo (da cui la parola “eletto”). A questa medesima conclusione si può pervenire analizzando la simbologia del disco solare alato, presente in tutti i templi egizi e che fu poi assorbito dalla cultura greca nel caduceo del dio Mercurio. Il disco solare è la corona dell’albero della vita, rappresentato dal cervello e dalla ghiandola pineale (una piccola ghiandola posta all’intemo del cervello che gestisce la produzione di secrezioni endocrine umane e favorisce il potere di visione nel sogno) che vengono attivati grazie all’elevazione dei due serpenti cobra, cioè il risveglio energetico. Questi dal mondo infero, quello dove sono situate le gonadi, le radici nervose di questo sistema, si sollevano fino a far aprire le ali che rappresentano il mondo celeste, l’illuminazione conseguente al riequilibrio delle funzioni dei due emisferi e, quindi, la sanazione del corpo e dello Spirito (ancora oggi il caduceo è l’emblema della medicina). È per questo che gli antichi egizi ponevano spesso il faraone nella posizione di bere o di essere allattato dall’albero sacro. L’albero, espressione della dea, è quindi il sistema cerebro-spinale dell’uomo (che ha proprio le sembianze di un albero con radici/gonadi, il tronco/midollo e chioma/cervello) che attraverso le sue energie sublimate rinnova la vita e dona l’illuminazione, da essi relazionata all’immortalità dello Spirito. Gli egizi indicavano con imakh, la condizione di beatitudine e allo stesso termine associavano come determinativo la colonna vertebrale con il suo midollo. Imakh designava anche “il canale della colonna vertebrale attraverso cui passa il Sole”.
Schiapparelli, nel Libro dei Funerali, affermò che la beatitudine veniva dal “dorso di Osiride”. Associando questi concetti al rito di bere i secreti, di cui abbiamo parlato, si comprende il nocciolo dell’esoterismo egizio e perché fosse così intimamente legato all’immortalità. 

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