Alcune metamorfosi della "Bestia" secondo taluni santi

A Rodolfo il Glabro, la “Bestia” sarebbe apparsa come un piccolo mostro umanoide “con una enorme bocca, barba caprina, orecchie a punta, denti da cane”. Il riferimento alla bocca pare significare l’ingordigia insaziabile, e quindi può essere rapportato ad uno dei vizi capitali: quello della gola.
Così, un monaco di Chiaravalle descrive i diavoli come esseri giganteschi, agili come serpenti, feroci come leoni, con collo sottile, gobba e braccia magre e lunghissime. Riemerge qui la simbologia propria del serpente, ma unita ad altre caratteristiche che lo rendono maggiormente pericoloso per la fulmineità dell’attacco e la potenza. Sorpresa e imprevedibilità del serpente, velocità e violenza del leone sommati all’immagine di giganti producono un effetto scioccante sicuro. E’ probabile che i famosi quadri di J. Bosch siano ispirati a tali descrizioni. In fondo, tutto concorre a creare un certo deterrente per i cristiani, affinché mantengano costante la loro vigilanza.C’è chi, non senza ragione, ha osservato davanti a tante descrizioni che la fantasia dei santi è quanto mai tortuosa e quasi morbosa. Non v’è dubbio però che la “Bestia” ha saputo mostrarsi o essere descritta “pedagogicamente”, in modo da ottenere l’effetto desiderato.
Santa Brigida di Svezia, grande mistica contemporanea a Caterina da Siena (secolo XIV), per esempio, vide la “Bestia” in figura di un mantice, munito di una lunga canna, braccia come serpenti, gambe da torchio e piedi a uncino. ” E’  difficile capire il simbolo del mantice e del torchio, a meno che non lo si riferisca alle torture allora in uso. I piedi a uncino potrebbero anch’essi significare strumenti di tortura o metodiche per trarre in inganno, quasi un fare lo sgambetto!
Caterina da Siena, dal canto suo, descrive un demonio intelligente, astuto, che chiama “Malatasca”, cor chiaro riferimento al potere economico. Un demonio capace di abbagliare e di plagiare nei modi più subdoli. E anche se Caterina non descrive particolari visioni, tuttavia, quando nella lettera 304 scrive: “Nessuna battaglia o immaginazione, sia pur laida quanto si vuole, è peccato, se non quando noi acconsentiamo volontariamente, dilettandoci dentro”, lascia intuire che la “Bestia” abbia assunto, in certe visioni, atteggiamenti lascivi e provocatori.
Altri riflessi significativi delle variegate metamorfosi della “Bestia”, in funzione “pedagogica” e “parenetica” sono state mediate dall’arte visiva del Medioevo e del Rinascimento, dall’arte fiamminga in particolare. Basti pensare a Hieronimus Bosch e a Pieter Bruegel.
Occorre dire però che, già prima dell’arte fiamminga del XV e XVI secolo, il diavolo aveva fatto la sua apparizione nell’arte cristiana intorno al VI secolo d.C. Una delle più antiche figurazioni del diavolo si trova, ad esempio, in un affresco della chiesa egiziana di Bawit (VI secolo). Altre, dello stesso periodo, si trovano in alcune miniature della Bibbia di san Gregorio Nazianzeno, conservata nella Biblioteca nazionale di Parigi. Ciò che è caratteristico, in queste rappresentazioni, è l’aspetto di satana, travestito da angelo di luce.
Soltanto dal XII secolo in poi, fino alla fine del Medioevo e oltre, fino alla metà del XVI secolo, l’immagine demoniaca subisce una trasformazione radicale. Satana viene cioè rappresentato sotto forme orripilanti. Probabilmente, il nuovo vento ottimistico e vitalistico che soffia sui Comuni e l’espansionismo del nuovo piaceri e di scoperte, ha spinto la Chiesa, e gli artisti con essa, a scuoterli e, quasi a scioccarli, i fedeli e la borghesia emergente.Al di là, comunque, dello scopo della Chiesa attraverso l’arte, sono gli artisti stessi a decidere, anche per questioni di committenza, di farsi sedurre dalle forme dell’orribile. Facendosi forse suggestionare dai predicatori itineranti (particolarmente dagli Ordini mendicanti), che prediligevano toni apocalittici, essi ci hanno lasciato opere d’arte sul demonio che risultano veramente impressionanti. Basti pensare ai capitelli delle cattedrali di Autun, Moissac, Beaulieu e Vézelay in Borgogna (del 1150).
Ma veniamo all’arte fiamminga. Ciò che è caratteristico, quanto alla sua rappresentazione del demoniaco, è che essa si esprime sottolineando il non essere dell’aggressione e dello stravolgimento. La tentazione è, cioè, rappresentata come abissale senso della solitudine che, per essere superata, richìede una forte partecipazione alla vita di Dio. E quand’anche il satanico è rappresentato nei modi più fantasiosi, tuttavia non si pretende di definirlo, perché Lucifero è maestro in trasformazioni e in metamorfosi. Il senso di orribile e di indefinito presente nell’arte fiamminga deve essere letto in questa reazione. Nell’arte fiamminga il demone viene spesso raffigurato come una bestia che atterra la vittima con un impeto di toro accecato, con l’unico scopo di smembrare e distruggere. Uno scultore tedesco della fine del ‘400, dal monogramma H.L., ha rappresentato questa lotta in modo plastico.  Satana lotta con l’angelo che regge la bilancia delle anime, avviluppandolo con una orrenda proboscide elefantina, mentre tenta di far cadere o pendere la bilancia dalla sua parte; i suoi muscoli sono tesi nello spasimo della lotta ma egli finisce per essere sconfitto e così ricade nella sua terribile solitudine. Così l’innocenza dell’angelo sconfigge la malizia violenta dei diavolo, che viene come spaccato in due.
Alcuni artisti fi Lucas van Leyden e Nikolaus Manuel Deutsch, in particolare – hanno voluto rappresentare il demonio con sembianze femminili, con sgargianti e sfarzosi vestiti, per significare la vanità, che nasconde l’inconsistenza, il vuoto di ciò che appare. In molte di queste opere, in modo emblematíco, la donna-demone ha una specie di calice vuoto in mano: offre il nulla, la sola offerta che la “Bestia”, ché tale rimane, può distribuire. 

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