Visioni dell' aldilà…

“Che cosa accade a chi arriva ad un passo dalla morte e poi riprende a vivere?
È davvero possibile uscire e poi tornare nel mondo della materia?
“Subito dopo la crisi mi sono ritrovata in un ambiente completamente buio, di un nero come non avevo mai visto.
Un’oscurità completa. Avevo la sensazione di una pace enorme, una serenità e una tranquillità che non saprei descrivere con le parole. Non mi è mai successo, nella vita, di avere uno stato d’animo cosi intenso. Dopo questa mia esperienza ho letto di altri casi simili al mio, e ho scoperto che anche altre persone hanno la stessa impossibilità ad esprimersi: è una cosa più forte di qualunque stato d’animo normale. In questo buio mi sentivo “viaggiare”, come se mi spostassi, ma non avevo punti di riferimento reali. Era una consapevolezza interiore, una certezza, che non mi stupiva. Non ho visto nessuna luce, però…Stavo bene e mi sentivo leggera. A un certo momento ho “percepito” la presenza di una mia zia morta da tempo. Mi ha detto che dovevo tornare a vivere, che non era ancora arrivato il mio momento. Subito dopo mi sono risvegliata nella stanza”
Le NDE (Near Death Experiences, esperienze di quasi morte) sono esperienze interiori che vengono riferite da individui che hanno subito una crisi quasi mortale o una grave minaccia di vita, o sono stati dichiarati clinicamente morti per un certo periodo, ma che successivamente si sono ripresi o sono stati rianimati. La caratteristica che rende uniche le NDE è il fatto che sembrano svolgersi durante il periodo in cui l’individuo risulta o è considerato “morto”;un periodo cioè nel quale, secondo tutto ciò che sappiamo, non dovrebbe svolgersi alcuna attività psichica. È un fenomeno oggi molto seguito. Servizi televisivi, indagini di dilettanti appassionati, ricerche universitarie.
Qualche studioso importante decide di sbilanciarsi e di dichiarare il proprio interesse su questo argomento; qualcun altro confessa invece di aver provato direttamente l’esperienza.
Convegni, dibattiti che di rado trovano le risposte a tutte le domande; pubblicazioni che si susseguono in ogni parte del mondo. Anche in Italia.
Il tema delle NDE, cioè delle strane esperienze vissute da persone che sono state a un passo dal morire e sono tornate a vivere, sembra pian piano imporsi all’attenzione generale e sfidare, in quest’epoca di piccole grandi guerre, stragi e stermini, il diritto della vita contro quello della morte.
In senso generale l’esperienza consiste nel ricordo di essersi staccati dal proprio corpo mentre questo “moriva” e di esser finiti a viaggiare verso una luce accecante, o in ambienti celestiali, mentre si veniva presi da una gioia e una felicità incomparabilmente superiori a ogni gioia e felicità terrena. Talvolta nell’altra dimensione s’incontra qualcuno o si scorgono panorami dominati da un grandioso senso di pace.
Ma poi tutto finisce, quando si è “costretti”a tornare al corpo. Ci si risveglia in un organismo dolorante o malato, in preda a sensazioni contrastanti: una struggente nostalgia per la felicità appena assaporata e già perduta, la sicurezza incrollabile che la morte non è la fine dell’esistenza, il pudore (o la gelosia) di un’esperienza intima impossibile da comunicare perché i “vivi” non la capirebbero.
Le esperienze raccolte sotto la sigla NDE comprendono complessivamente una serie di affermazioni dichiarate da una parte considerevole di persone che, dopo una crisi grave con rischio di vita, oppure una fase di morte clinica, sono tornate a vivere in seguito alla rianimazione medica o al superamento spontaneo della loro condizione. Secondo un calcolo che risale a pochi anni fa, si pensa che nei soli Stati Uniti circa 8 milioni di persone abbiano avuto, almeno una volta, un’esperienza di questo genere; il che significa che in Europa più o meno altri 8-10 milioni di persone hanno raccontato storie dello stesso genere. Su scala mondiale potrebbero dunque essere diverse decine di milioni gli individui che hanno vissuto un’NDE: continuare a ritenere che queste esperienze siano anomale, eccezionali o sporadiche è perciò tutt’altro che giustificato.
Gli esperti che hanno cominciato a raccogliere le testimonianze su questi fatti hanno riempito i loro archivi di resoconti che nella maggior parte si snodano secondo una schema comune ben riconoscibile. Seguendo le indicazioni di uno dei più autorevoli studiosi di questo campo, lo psicologo americano Kenneth Ring ( che ultimamente ha abbandonato il settore, per approfondire indagini per lui più interessanti), si può dire che l’intera esperienza di chi è scampato alla morte si suddivide in due fasi. Da principio la persona avverte una gran sensazione di calma, di leggerezza, di pace interiore e di astrazione da tutto ciò che l’aveva occupata prima della crisi apparentemente mortale. Se aveva sofferenze fisiche, ora non sente più dolore; le preoccupazioni svaniscono.
Poi viene l’impressione di distaccarsi dal corpo e di restare immersi in un benessere totale, galleggiando o volando in alto. Il soggetto prova un senso di leggerezza ed è in grado di riflettere su tutto questo con molta chiarezza. Si rende conto della situazione insolita in sui si trova, “sa” di essere morta, ma considera tutto ciò assolutamente reale.

Un tunnel nel buio

Il terzo momento consiste nella percezione di un tunnel buio, o comunque di un ambiente oscuro. È una percezione interiore, una consapevolezza, che non nasce da constatazioni dovute agli organi di senso, anche se si impone con grande forza.
Al termine del tunnel si può intravedere una luce intensa, abbagliante, verso la quale ci si sente attratti (quarta fase). Il movimento verso questo punto è irresistibile, anche perchè subentra la certezza che quello sia il luogo di entrata in un mondo ulteriore, spirituale, di sopravvivenza eterna. In alcuni racconti di NDE viene riferita anche l’entrata in questa luce, l’immersione totale, caratterizzata da un’enorme felicità e serenità (quinta fase). Tutto sembra acquietarsi in un appagamento totale, sconfinato.
I cinque stadi si susseguono in questa maniera soltanto in un numero limitato di casi, perché la maggior parte delle esperienze sembra interrompersi prima, in una delle fasi precedenti. A determinare fin dove ci si spinge in questo viaggio immateriale sembra il tipo di evento responsabile della crisi mortale. Kennet ring ha scoperto che gli aspiranti suicidi non superano praticamente mai la terza fase delle NDE, mentre i malati terminali, che si avviano verso una morte naturale, sono quelli che raggiungono più spesso il punto avanzato dell’immersione nella luce. Fatto salvo questo schema di riferimento, valido per la quasi totalità di chi riferisce un’NDE, da un racconto all’altro si riscontrano comunque differenze secondarie, al punto che si può tranquillamente affermare che non esistono due esperienze assolutamente identiche. Qualcuno, al termine del tunnel, percepisce non una luce indifferenziata, ma una “figura luminosa”, magari quella di un suo parente o di un personaggio della religione (un angelo, Gesù, un santo, e cosi via); qualcun altro riesce a distinguere un intero paesaggio “celeste”, con prati, case, alberi, animali. Talvolta odono voci che chiamano, o che avvertono che è giunto il momento di tornare a vivere nel corpo: e allora si prova la sensazione che questo ritorno – per nulla desiderato – sia inevitabile. Altre volte si continuano a percepire persone e circostanze vicine al corpo morente. Un uomo, descrivendo la sua NDE, disse: “Era come se fossi in un angolo della stanza e guardassi giù, attraverso un filtro giallo. Giù c’ero io, sdraiato sul letto, con inserite le cannule intravenose. C’erano due infermiere e un dottore che trafficavano; il medico gridava perché stavano commettendo un errore e rischiavano di uccidermi. Non erano riusciti a far nulla di buono fino al suo arrivo. Me ne stavo lassù nel angolo a osservare ciò che accadeva, quando improvvisamente ritornai giù.
Il ritorno, a detta di tutti, avviene di colpo, come una specie di caduta improvvisa, di soprassalto. Si riacquista l’intera percezione della coscienza normale e si avvertono tutte le sensazioni dell’organismo, che in genere si trova in condizioni di sofferenza o di estremo disagio. “Mi trovavo in un giardino, proprio dietro un cespuglio”, ricordò della sua esperienza una donna scampata a un principio di annegamento, “e non c’era nessuno davanti a me. Dei bimbi giocavano intorno a un grande albero maestoso… I bambini mi videro e mi fecero cenno di raggiungerli. Esitai un istante, ma poi decisi di andare… allora percepii uno strattone, come un risucchio. Capii di essere tornata nel corpo”.

Immortalità non per tutti

A raccontare, dietro sollecitazione dei medici o dei ricercatori, queste esperienze considerate un superamento della morte fisica, è circa il 30-40% delle persone sopravissute a una crisi apparentemente mortale. Di fronte a questa cifra viene ovvio interrogarsi sul perché le NDE riguardino solo una percentuale parziale di “resuscitati” e non siano invece riferite dalla totalità. La risposta data dallo psichiatra americano Bruce Greyson è che in verità tutti loro hanno esperienze di questo genere, ma che in generale quasi tutti le dimenticano una volta scampato il pericolo e ripristinate le condizioni di vita normale. Sarebbe in atto, insomma, un meccanismo di eliminazione dei ricordi anomali che, specie in chi ha una personalità molto controllata e razionale, evita il conforto con realtà inspiegabili, potenzialmente angosciose. Uno studioso italiano, il chirurgo professor Antonino Sodaro, sta lavorando con l’ipnosi regressiva per verificare se anche coloro che dicono di non aver vissuto niente (o di non ricordare niente) nel momento della morte apparente, hanno comunque tracce inconsce di un’esperienza del tipo dalla NDE. In effetti dai suoi lavori emerge la possibilità di recuperare talora ricordi di NDE; ma la delicatezza dell’uso dell’ipnosi a questo fine non permette di giungere a conclusioni sicure. Rimane perciò ancora un mistero perché il 60-70% dei sopravissuti a una crisi mortale non abbia o non ricordi di aver avuto un’NDE.
La gran maggioranza di chi testimonia queste esperienze afferma di essersi trovato, in quei momenti, in una dimensione senza tempo, senza durata, senza corporeità, nella quale tutto coesiste e nulla “avviene”. Si avrebbe la sensazione, insomma, di essere un puro centro di coscienza non localizzato in un corpo, animato da un senso di gioia infinita, di calma e di serenità. Ciò malgrado, tutti dicono di aver mantenuto un’estrema lucidità mentale, che ha consentito di capire di essere ormai veramente morti, senza restare sconvolti da questo pensiero. La sicurezza di trovarsi in una dimensione spirituale aumentava a mano a mano che l’esperienza procedeva, e questo suscita notevoli perplessità: anche chiedendolo esplicitamente nessuno sa spiegare come si può avere una simile certezza in mancanza di elementi concreti e di conforti. Nessuno può sapere a che cosa somigli la “sensazione” di esser morti.

Il cuore che non batte

Dalle ricerche fatte ormai in tutte le parti del mondo, non è emersa alcuna correlazione tra caratteristiche demografiche o psicologiche e caratteristiche delle esperienze, anche se un certo rapporto con i fattori culturali e il condizionamento religioso si può senza dubbio dedurre da molti resoconti, e in particolare da quelli dei bambini. Pure in questi casi è riconoscibile lo schema dedotto dalle esperienze degli adulti. “Li sentivo dire che il cuore non batteva”, ha ricordato una bambina di due anni “deceduta” durante un’operazione di appendicite. “Io li guardavo dal soffitto. Da lassù vedevo tutto. Volteggiavo vicino al soffitto e, quando vidi il mio corpo, non sapevo che era il mio. Poi capii, perché lo riconobbi. Uscii in corridoio e vidi mia madre che piangeva; le chiesi perché, ma lei non mi sentiva. I medici credevano che fossi morta. Poi venne una bella signora che mi aiutò, perché sapeva che ero spaventata. Attraversammo un tunnel e arrivammo in cielo. Ci sono dei bellissimi fiori, li. Stavo con Dio e con Gesù, che mi dissero di tornare da mia madre che stava soffrendo.
Dicevano che dovevo continuare la mia vita. Allora tornai e mi svegliai.”
Tra le conseguenze che si producono nei soggetti dopo un’esperienza NDE va ricordato innanzi tutto il senso di nostalgia verso ciò che è stato lasciato. La stessa bambina che era stata “con Dio e con Gesù” disse, in risposta a una domanda rivoltale qualche tempo dopo, che “per molto tempo ho desiderato tornare là. Ancora adesso voglio rivedere quella luce, quando muoio”. Un uomo scampato a un suicidio, ribadii :” Non credo che avrò più la tentazione di uccidermi. Ma sento una nostalgia fortissima per il “luogo” dove mi sono ritrovato dopo morto” C’è anche un altro “strascico” dell’esperienza nella vita di chi l’ha avuta: un rapporto diverso che si instaura con la vita di tutti i giorni, con gli altri esseri umani e perfino con se stessi. In genere si perde il timore della morte, si torna ad apprezzare la vita (anche con le sue difficoltà e le preoccupazioni) in quanto premessa all’esistenza futura, si pensa che qualunque atto abbia ormai un significato e un’importanza non trascurabili. Un’ampia maggioranza di queste persone si ritiene sicura che esista un’altra vita dopo la morte del corpo, mentre nei confronti dell’esistenza di Dio si rafforzano e si definiscono le convinzioni precedenti la crisi: chi era religioso vive con maggior vivezza la sua fede, chi era ateo o agnostico precisa meglio la sua incredulità e riversa il suo impegno nella vita attuale. Nessuno degli scampati a una crisi mortale con NDE tenta più il suicidio o si lascia andare alla malattia o alla depressione. E questo ha fatto pensare che il significato di simili esperienze vada trovato proprio negli effetti prodottisi in chi le attraversa, per riversarsi poi, tramite loro, su tutta la collettività umana. Le NDE sarebbero quindi in qualche modo espedienti per ridurre o eliminare il timore della morte, con l’illusione di un’esistenza spirituale.
Ma se è cosi bisogna dire che non si conosce ancora nulla dei meccanismi biologici e psichici in grado di svolgere questa funzione in caso di necessità. Recentemente tre autori americani (Lindley, Bryan e Conley) hanno suggerito la possibilità che lo stress che precede la crisi mortale distrugga l’equilibrio chimico e neurologico nel cervello, determinando la formazione e la liberazione di grandi quantità di particolari sostanze; come le endorfine e la ketamina, che normalmente hanno l’effetto di creare la sensazione di benessere, di insensibilità al dolore, di serenità, di uscita dal corpo, di leggerezza (volo). Questa potrebbe essere una spiegazione scientifica e del tutto naturale di esperienze che è invece facile esser portati a considerare di natura trascendente, come vere e proprie incursioni nell’aldilà, la dimensione in cui ci stabiliremo dopo la morte del corpo fisico. Per quanto sia affascinante, quest’ultima possibilità non può che rimanere, al momento, fuori di qualunque indagine rigorosa. Pur rispettando le convinzioni personali e la libertà individuale di credere a ciò che si preferisce, la scienza non può lavorare su ipotesi spirituali, ed è per questo che le ricerche oggi condotte in vari centri – privati e universitari – oltre che alla raccolta delle testimonianze si indirizzano quasi tutte verso modelli neurofisiologici di quel tipo. I quali sono senza dubbio interessanti, ma tutt’altro che esaurienti. Gli stessi autori che li hanno proposti per primi hanno detto che non sono in grado di spiegare tutto e che, per approfondire l’argomento “a questo punto è importante restare aperti alla possibilità che ci sia qualcosa di vero nelle percezioni di queste persone”. Che cosa ciò significhi è ancora tutto da stabilire, ma ci si sta lavorando sopra. Nel territorio oscuro delle esperienze intime che si producono nell’incerto confine tra la vita e la morte, qualche seme di coscienza è stato già piantato. Si attende a breve che comincino a spuntarne dei germogli.

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