Streghe, il lato oscuro

Erano belle, intelligenti, felici. Per questo dovevano andare al rogo.
Nelle terribili letture in cui mi sono imbattuta studiando questo fenomeno che ha ammorbato per secoli l’Europa ed è conosciuto sotto il nome di “caccia alle streghe”, la mia immaginazione storica è stata particolarmente colpita da un fatto, descritto in un libro di Pinuccia Di Gesaro. Il protagonista dell’episodio è Pierre de l’Ancre, che fu consigliere reale al Parlamento di Bordeaux, giudice inquisitorio nelle regioni di Bordeaux e nei Paesi Baschi. I Paesi Baschi del Labourd, si legge nel resoconto riassunto dalla Di Gesaro, “sono uno spaventoso nido di streghe; in nessun posto d’Europa ci si avvicina al numero che si trova qui. Arrivando una sera al tramonto in una località del Labourd, un paesino abitato da pescatori che si assentavano a lungo da casa”, il magistrato rimase” impressionato alla viste di molte donne che si riunivano sulla spiaggia e parlavano tra loro allegramente. Gli parvero tutte streghe”.
Trasponendo su un piano simbolico le frasi con cui la scena viene qui descritta si ottiene una magnifica sintesi dei motivi dominanti che hanno impregnato velenosamente di sé la persecuzione della stregoneria nelle sue varie forme. Il periodo è, infatti, rappresentabile come un mosaico complesso articolato in tasselli che è possibile scardinare per tracciare un identikit di quei feroci esseri che furono i cacciatori di streghe.
In secoli troppo vicini, dimostrarono di essere tali non solo gli inquisitori, sia ecclesiastici che laici, colpevoli delle più eclatanti efferatezze, ma anche intere comunità di “tribù” cristiane, ossia cattolici e protestanti al completo. Erano, infatti, loro sia le vittime che i sadici creatori di quell’incubo popolato di morti innocenti, torture innominabili, terrorismi psicologici. Loro che avevano accettato una visione rigidamente dualistica delle realtà con un Dio tutto buono da una parte e un Diavolo tutto perfido dall’altra. Loro avevano voluto e fatta propria una religione fondata sulla sofferenza, sulla morte, sul senso di colpa, sul peccato e su un Maligno che, in perpetuo agguato, si manifesterebbe proprio attraverso la più spontanea e naturale relazione che esiste tra gli esseri umani: la sessualità.

DUEMILA ANNI DI VIOLENZA
“La vocazione cristiana al sacrificio come identificazione con la figura del Giglio condannato a morte dal Padre” – argomenta a questo proposito l’antropologa Ida Magli – “ha portato con sé, nei duemila anni di storia cristiana, l’esplosione di atroci violenze, perché rappresenta la più feroce immagine di Dio che negli uomini si sia mai fatta e perché. . . . Non esiste una vittima senza carnefice. Il concetto stesso di sacrificio include la certezza dell’esistenza di una divinità terribile cui sacrificio sia gradito. Ma quando il sacrificio diventa sistema di rapporto fra gli esseri umani ed è ritenuto addirittura la forma migliore dell’amore, allora, come la nostra storia dimostra, si diventa tutte vittime e carnefici l’uno dell’altro. L’unico che ne trae forza e potere assoluto è colui che si trova a capo del gruppo. I Papi, gli Imperatori, i Condottieri, i Dittatori, gli Abati, i Santi sono rappresentati esemplari di questo Potere. Ne abbiamo la prova evidente nella storia delle donne sotto il cristianesimo”. Tutti concetti che anche da questo articolo appariranno drammaticamente confermati.
Le fasi importanti sono dunque quattro:
1) una sera al tramonto in un paesino abitato da pescatori che si assentavano a lungo da casa;
2) molte donne si riunivano
3) sulla spiaggia
4) e parlavano tra loro allegramente.
Quindi, a Pierre de l’Ancre parvero tutte streghe.
Analizziamole ad una ad una.
“una sera al tramonto in un paesino abitato da pescatori che si assentavano a lungo da casa. . . . . ”
Il collegamento notte – magia e notte – streghe è talmente immediato e così presente nel folclore popolare europeo da non richiedere spiegazioni. La notte è considerata per antonomasia “brutta, nera e cattiva”, sede di mostri e di spaventose entità demoniache. E non a caso i Greci la concepirono mitologicamente come figlia del Caos e produttrice non solo del sonno, ma anche della morte. Come a dire: Notte = Morte, Giorno = Vita, con tutto quel che se ne consegue.
In questa lotta / opposizione tra le forze del Giorno (solari e maschili) e quella della notte (luni – stellari e femminili) il tramonto rappresenta un momento particolarmente decisivo nella lotta: è, infatti, l’attimo magico in cui quest’ultima trionfa e appaiono le stelle e la luna. Nel frattempo il sole svanisce, va giù, cala il potere. Insomma: il pene si affloscia e afflosciandosci perde la sua autorità, perché è appunto sull’erezione, come segno e il simbolo di vittoria e supremazia, che è fondata la società patriarcal – maschilista. E se ancora oggi è in parte così figuriamoci nel XVII secolo quando il magistrato vide delle dannate femmine sole! I loro mariti, pescatori, avevano fatto proprio come l’astro diurno: al tramonto se n’erano andati. E così facendo avevano aperto un varco di contatto fra la Regina della Notte e le sue pericolose adepte: le donne.
“molte donne si riunivano. . . . . ”
Uno dei motivi per cui gli uomini sono riusciti a dominare le donne per millenni è stato il concetto che questo costituissero una loro proprietà. La femmina, ritenuta una “cosa”, apparteneva esclusivamente al marito e solo a lui – lo predicava anche San Paolo – poteva far riferimento. Così, poiché ogni donna veniva reclusa in casa, e quindi separata dalle altre, le femmine umane non comunicavano più l’una con l’altra. Ognuna si preoccupava esclusivamente dei propri maschi: il padre, il marito, i figli. . . . E vedeva come rivali le altre donne, magari colpevoli di aver attratto le attenzioni erotiche del compagno.
Per il patriarcato, dunque, tenere le donne divise è stata un’arma vincente, così come il ritrovarsi insieme delle donne – lo storico Femminismo – è stata la condanna di questo patriarcato, l’inizio della sua fine. Il maschilismo ha incominciato, infatti, ad incrinarsi proprio quando le femmine della specie, considerandosi in qualche modo razza a sé, si sono incontrate insieme. Hanno fatto gruppo. Unione, congrega. Un rischio che evidentemente gli uomini hanno paventato da sempre. E che giustifica l’ansimo d’inquietudine e di paura di de l’Ancre alla vista di quelle troppe donne riunite. Una situazione inamministrabile che andava assolutamente impedita!
“sulla spiaggia”
Chiunque si sia occupato anche minimamente di simbologia e mitologia sa che se c’è un simbolo femminile per eccellenza questo è senz’altro il “mare”, identificato con le Acque profonde e oscure, ossia con il liquido amniotico o ventre materno da cui tutte deriviamo. Nelle antiche cosmologie babilonesi – e questo accade in quasi tutte le mitologie – l’Abisso delle Oceaniche Acque Salate è Femmina. Il suo nome è Tiamat, la Grande Dea, che, manco a dirlo, venne sconfitta e assoggettata da un dio maschio. E nella Bibbia, la più conosciuta summa dell’ideologia patriarcale, il mare è sempre comunque minaccioso, popolato di mostri e metafora dell’ostilità a Dio.
Quindi il pericolo si aggrava. Donne senza maschi riunite insieme davanti al mare che simboleggia la loro più arcaica essenza. E nell’ora del giorno in cui il maschio è più debole: il tramonto.
“e parlavano tra loro allegramente”
Ma tutto questo è ancora niente, perché c’è di peggio: parlavano tra loro. Vi rendete conto? Parlavano! Quando la donna non poteva avere parola, così come non poteva avere cultura e, a dire il vero, non era neppure certo se avesse un anima. E quest’atto audace del comunicare lo compivano tra loro senza un’autorità maschile presente, in modo sfacciatamente, autonomo. Che mai si saranno dette? Stregonerie malefiche, che altro senno? E se non avessi avuto debbi Pierre de l’Acre li perse tutti di fronte alla più sconcertante, rivelatrice diabolica espressione alla quale gli stava toccando di assistere, ahi! Lo sventurato. Queste perverse donne – ripeto: sole, senza mariti accanto, riunite in gruppo di fronte all’abisso marino, dialoganti tra loro, con sole calante e luna + stelle emergenti, nell’oscurità che attacca e irrompe tra gli “uomini del giorno” – stavano facendo qualcosa che era veramente troppo: erano allegre.
Ridevano! Dunque erano necessariamente cattive.
Perché lo sanno tutti, perfino i bambini, che i malvagi ridono sempre. Cosa fa ancora oggi il cattivo dei fumetti quando medita le vendette? Ride. E il perfido eroe del cinema che rimugina le cattive azioni compiute o elabora quelle da compiere? Ride. Ride sguaiatamente. Il buono al massimo sorride. Il suo è un sorriso dolce, confortante. Non preoccupa. Ma la risata è satanica per eccellenza, tanto che in passato veniva pienamente tollerata solo durante il Carnevale a scopo catartico, ossia liberatorio.
Ben lo sapeva alle soglie seicento l’anziana Franchetta Borelli, la quale, come riferisce Claudio Bondì, mentre la torturavano spietatamente per farle confessare di essere una strega, si preoccupava che le sue smorfie di dolore potevano essere volutamente scambiate per risate: sarebbero state infatti segno sicuro della presenza del Diavolo, che in quel terribile “tormento” non solo non permetteva che la sua seguace percepisca il dolore, ma addirittura lo induceva a ridere.”Io stringo i denti e poi diranno che rido”.
Come poteva del resto non essere considerata diabolica la risata in una società come quella cristiana, fondata sul culto per un severo Dio – Padre perennemente ingrugnito e un Dio – Figlio che con il suo esempio e la sua atroce morte invitava tutte/i alla sofferenza, al martirio o almeno all’angoscia tristezza per i propri peccati? Peccati che erano inevitabili sensi di colpa, inevitabili pene interiori, inevitabile carenza di allegria. . . . Perché quale donna potrebbe essere gaia sapendo di essere nata con un peccato orribile, quello originario, di cui fu massima responsabile proprio una sua simile (Eva) che è stato pagato con il sangue dallo stesso Dio? E poi è facilissimo compiere qualche peccato: basta provare un desiderio sessuale non procreativo. . . .essere ingiusta o violenta con qualcuno . . . . non aver partecipato alla Messa domenicana . . . . non essere stata sufficientemente obbediente o umile . . . . Insomma, i motivi per rattristarsi non mancano mai. E come la Madonna ha tanto sofferto e dolcemente sorriso, così tanto più devono soffrire e solo dolcemente sorridere le altre creature femmine per espiare le prima e le seguenti colpe.
Questo concetto sacrificale della vita proposto dal Cristianesimo ha avuto un successo che, per il fatto di essere così innaturale rispetto all’istinto umano e alla sua voglia di piacere e di sopravvivenza, ha lasciato sconcertati perfino alcuni antropologi. Se ne stupisce per esempio Ida Magli, che ancora commenta: “l’interrogativo sul fascino che ha esercitato il cristianesimo fin dall’inizio, proponendo l’identificazione del cristiano con la vittima sacrificale in una cultura che vi era del tutto aliena come quella greca e romana, non è facilmente risolvibile. Anche perché presuppone una scelta psicologica e culturale per la sofferenza che non trova riscontro nel mondo antico”.
E se si sceglie la sofferenza come norma di condotta ovviamente si piange, no si ride. Ecco perché queste femmine ridenti al magistrato de l’Acre parvero tutte streghe.
Chi mai potrebbe dargli torto? 

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