Formule, pozioni e polveri

Quali malefici e quali danni erano in grado di procurare le streghe?
Quali erano le loro “vittime” preferite?
Troviamo le risposte esaminando, da vicino, i principali rituali e incantesimi orditi per colpire i malcapitati.

Disgrazie improvvise, brusche alterazioni del normale corso dell’esistenza, inspiegabili rovesci di fortuna, amori non più corrisposti: questi, in sostanza, i principali danni attribuiti dal nostro folclore, in assenza di spiegazioni più plausibili, alla malefica influenza delle streghe.
Vedove, brutte, mezze cieche e deformi, bastava rivolgersi a una di queste megere per far morire o deperire qualcuno.
Si credeva che esse potessero storpiare e sfigurare gli uomini, affliggerli con i tormenti della fame e della pazzia anche attraverso vapori, filtri, intrugli, poltiglie o semplici umori velenosi. Molto efficaci in questo senso erano considerati gli impasti di ossa degli impiccati con gocce di mestruo essiccate al sole.
Fatture a morte, consunzione e decessi potevano essere ottenuti anche esponendo davanti al fievole fuoco di un camino immagini di cera vestite con il tessuto ritagliato dagli abiti delle persone da maleficiare, per far si che la loro vita avesse termine nello stesso istante in cui le statuette si fossero completamente consumate e la stoffa bruciata.
Oppure come scrive G.Pitrè in ” Medicina popolare siciliana” facendo imputridire una gallina nera sotto la soglia dell’ingresso della persona odiata.
Rospi nutriti ad ostie consacrate, ali di pipistrello, sangue di uomini dai capelli rossi erano invece, i più comuni ingredienti usati da alcune di queste maliarde per disperdere i frutti di colpevoli amori.
Per stregare le persone e i loro beni spesso ricorrevano anche agli effluvi e alle agnazioni maligne del loro diabolico sguardo.
” Questo fanno – scrive già nel ‘600 il famoso filosofo Tommaso Campanella – di più le vecchie a cui non vengono le purgazioni e hanno perciò esalazioni fetide in bocca e negli occhi talchè mirando in uno specchio l’appannano chè il grosso specchio s’appiglia di quel vapore grosso come il marmo dello scirocco pensandolo con la sua freddezza e resistenza.
E il filo tocco dallo sputo loro si putrefà; tanto che a dormire con le vecchie a’ bambini fa mancare la vita e crescerla a quelle…”

I BIMBI: LE LORO VITTIME PREFERITE
Particolarmente esposta alle insidie delle streghe era dunque l’infanzia. I bambini colpiti dai loro malefici piangevano, vomitavano, diventavano pallidi, deperivano, soffrivano insomma delle più svariate malattie.
Di gran lunga preferiti erano quelli non ancora battezzati proprio perché non ancora protetti dalle preghiere e dal segno della croce che, per i loro indubbi aspetti esorcistici, rappresentavano già una prima sorta di immunità magica nei confronti di queste oscure ed imprevedibili forze del male. Di notte, poi, trasformandosi in gatti si diceva potessero ucciderli direttamente nelle culle o mentre dormivano vicino ai genitori in modo da far pensare che fossero morti soffocati o per qualche altra causa naturale.
E.Rubino nel suo “Fatture, malocchi, storie di streghe” ci puntualizza addirittura che nel Molise “s’intromettono nelle case per la toppa della chiave per i fessi delle finestre e dei balconi;
prendono a mò Di Mazzamurieglio forma di una volata di vento. Si avvicinano adagino adagino al letto dei genitori cominciano ad oppiarli a poco a poco con i loro fiati infetti.
Essi quasi se n’accorgessero si stirano in largo e in lungo; vorrebbero aprire gli occhi gridare per invocare l’aiuto della Madonna e del vicinato; vorrebbero afferrare la spietata straziarla in tutti i modi possibili, ridurla a pezzi; ma non ponno.
Si sentono una gravezza che li opprime li soffoca; preveggono quelo che sarà del loro bambino di quel corpicino tenero tenero bianco come la neve; desiderano ardentemente di prenderlo dalla culla stringerlo al petto forte forte baciarlo sulla bocca atteggiarlo sempre ad un sorriso di lieta esultanza e di amore.
Fanno sforzi per levarsi in piedi ma inutilmente; le gambe sono indebolite tremano non vonno stare all’erta e sopportare il peso della persona.
In tale stato rimangono un pezzo travagliati da un incubo crudele che fa morir loro la voce nella strozza; sentono il cuore cessare i suoi battiti come stretto da una mano di ferro un suono fioco e inarticolato romper lievemente la quiete della stanza rischiarata appena da un lume ad olio vicino a spegnersi.
Abbattuti, cadono in un profondo sopore mentre la strega prende il bambino lo morde e si sazia di quel sangue innocente”
Non certo da meno erano considerate, inoltre , le arti di quelle che li maleficiavano attraendoli con i doni di cibo, quali zucchero miele, noci, mele dolci e castagne.
Alla vita dei bambini si poteva attentare, però, anche attraverso la fascinazione del latte materno.
Si credeva, infatti, che fossero in grado di arrestarne il flusso facendo magicamente passare attraverso i capezzoli delle donne dei lunghi e sottili capelli.
Altrettanto abili, in tal senso, erano ritenuti i loro più fedeli animali: gufi, cagne e serpenti. A questi ultimi, in particolare, era attribuita un’insolita capacità; si credeva che, infilandosi di notte nel letto di una puerpera le si potessero attaccare silenziosamente al petto al posto del suo bambino e, per fare in modo che questo svegliandosi non piangesse, gli infilavano in bocca la coda.

COSÌ OSTACOLAVANO LA FERTILITÀ
Riguardo agli altri espedienti messi in atto dalle streghe per nuocere agli uomini, di indubbio interesse appaiono quelli per impedire gli accoppiamenti e la naturale riproduzione della specie. Credenze popolari di epoche antecedenti la nostra riportano nel già ricordato “Malleus malaeficarum” documentano addirittura sette malefici impedimenti.
– Spingere l’animo degli uomini a una lussuria disordinata
– inibire la loro forza rigenerativa
– Privarli del membro usato per tale atto, attraverso demoniache arti
– Trasformarli in bestie
– Alterare la forza generativa delle donne
– Causare gli aborti
– Offrire i bambini, subito dopo la nascita, in pasto al diavolo

In epoche più recenti, invece, indissolubili malefici a sfondo sessuale erano effettuati attraverso la somministrazione di filtri magici a base di pelle di serpente e testicoli di gallo finemente triturati.
E sempre a questo proposito sconsigliatissima dalle streghe di tutto il nostro Paese era la pratica di far ingoiare, specialmente alle donne, penne di uccelli e peli pubici maschili legati insieme con del filo nero.

IL MATRIMONIO
L’angoscia di queste terribili fascinazioni come ci ricorda E. De Martino in “Sud e magia” ritorna anche a proposito delle nozze e della consumazione del matrimonio.
In molti paesi della Lucania per eludere le forze maligne che insidiano le coppie scrive l’illustre antropologo ” il corteo nuziale non deve mai percorrere la stessa strada all’andata e al ritorno..A Colabraro gli sposi non devono immergere la mano nell’acqua santiera per tema che vi sia disciolta qualche polverina affatturante per effetto della quale l’atto sessuale non potrà essere effettuato”. Quando poi si ritiravano nella camera da letto due uomini venivano sempre messi a guardia della porta per evitare che qualche megera facesse loro “lu strite” (stregoneria, maleficio, incantesimo). E nemmeno poche erano inoltre in Sicilia, si legge ancora in G.Pitrè, le fattucchiere che, a chi voleva farsi amre per forza, consigliavano di recitare in chiesa nell’istante stesso in cui il sacerdote consacrava l’ostia, il seguente scongiuro:
“Io non sugnu venuto ccà
pi ludari a Cristu
Ma pi attacacri a chistu
Iu lu attaccu e lu liju pi
L’intieru munnu
Iu criju e tiegnu firi
N.(nome della persona) ha
Essiri o me vuliri”

Traduzione:
Io non sono venuto qua
Per lodare Cristo
Ma per attaccare questo
Io lo attacco e lo lego
Per l’intero mondo
O credo e tengo fede
Che N… deve subire questo o volermi.

Il diavolo era pregato invece per riavere subito colui che ci tradiva.
“…Diavulu di tri venti
Sentimi a li tri vuci
Va votacci la menti.
Diavulu ‘mpora ‘mpora
Pigghilu e portamillu ora ora;
Diavulu di Mungibeddu
Va stornicci tu ciriveddu;
Diavulu si voi stari a la
Mè casa
Va dicci prestu mim mi torna
A vasa;
Diavulu non ti scordari chi ti dicu
Va curri prestu e tornimi
L’amicu..”

Traduzione:
Diavolo dei tre venti
Sentimi con le tre voci
Va vuotaci la mente
Diavolo ‘mpora ‘mpora
Prendilo e portamelo subito
Diavolo di Mungibeddu
Va distogligli il cervello;
Diavolo se vuoi stare nella
Mia casa
Va digli presto e torna
Diavolo non ti scordar ciò
Che ti dico
Va corri presto e riportami
L’amico…

Se si rifiutava loro qualcosa potevano infine maleficiarci facendoci dei dispetti.
Una testimonianza
“Quando avevo 17 anni – si legge in una testimonianza lucana raccolta nel già menzionato volume di E. De Martino – venne a casa una donna. Non la conoscevo, una zingara forse, e mi chiese un pezzo di formaggio.
Ero sola in casa e dissi che non ne avevo. La vecchia andò via e disse: “Va bene non me ne vuoi dare ti farò vedere io”.
Quando venne sera al momento che mi dovevo fare la testa mi sono accorta che i miei capelli erano annodati come la frangia della coperta e il pettine non entrava.
Ho chiamato allora una donna zia Rosa mi disse:
“è meglio che li tagli figlia mia”. E così fu fatto.Misi le trecce sopra il letto così nessuno le prende ma quando sono andata a riprenderle per farle veder in paese non le ho trovate più”.

SIGNORE DEL TURBINE E DELLA TEMPESTA
Anche grandine vento pioggia e siccità erano spesso ritenuti legati ai malefici delle streghe.
Là dove il tempo era più burrascoso e più infuriava la tempesta si diceva amassero danzare e far baldoria.
” Piove c’è il sole le streghe fan le prove” recita a questo proposito un popolare detto dell’Alta Valle Tiberina Toscana.
Trasformandosi in nubi temporalesche si credeva poi, potessero dirigersi sui campi di chi più odiavano distruggendone i raccolti. Non a caso dai nostri contadini queste calamità venivano considerati i flagelli più difficili da scongiurare.
Violentissime e disastrose piogge potevano persino suscitarle agitando con le mani l’acqua dei fontanili, dei fiumi, dei torrenti fino a che questa non si fosse levata alta nel cielo.
In Scozia addirittura percotendo contro delle rocce dei panni bagnati al grido di:
“Io sbatto questo straccio su uno scoglio per fare il vento in nome del demonio e non si cheterà s’io non lo voglio”.
La potenza delle streghe in questo particolare settore delle loro malefiche arti non si esaurisce certo qui.
C’e n’erano alcune in grado di far piovere semplicemente “pisciando” dalla sommità degli alberi in cui si erano per questo scopo appollaiate.
Nel Medioevo si era convinti, invece, che da una lontanissima terra chiamata “Magonia”, scrive il vescovo Agobardo da Lione nel suo “Liber contra insulsam opinionem de grandine et tronitu” (Libro contro la sciocca opinione sulla grandine e sul tuono) arrivassero trasportati su delle navi attraverso il cielo “dei demoni tempestari” per caricare i raccolti distrutti dalla grandine da loro stessi provocata.
E tali, allo stesso modo fino quasi agli inizi del secolo scorso, in molte località dell’Abruzzo, erano considerate ” le nubi grandinifere i nembi i sifoni ” tanto che sparando loro contro si credeva di poterli uccidere o quanto meno mutilare e allontanare.

LE MALATTIE DEGLI ANIMALI
Erano molte, inoltre, le malattie degli animali attribuite, dai nostri contadini, all’opera del diavolo e delle streghe.
A Torella del Sannio, come si legge ancora in E. Rubino, si credeva che si servissero dei cavalli addirittura ” per le loro lunghe cavalcate notturne da un paese all’altro” ; “o per trasportare legna o altre derrate lasciando poi ai proprietari l’amara sorpresa di trovare al mattino, le bestie madide di sudore stanche e impaurite e con la criniera annodata in minutissime e molteplici trecce difficili da sciogliere”.
Mungendo una corda da loro appositamente attaccata alle pareti di una qualsiasi stalla potevano, invece, privare del latte capre, mucche, pecore e cavalle.

MA AVEVANO ANCHE DELLE VIRTÙ
Non mancavano infine, tra la categoria delle streghe quelle cui si attribuiva la capacità di risolvere malattie sciogliere incantesimi o procurare alle famiglie adeguate provviste di cibo e di beni materiali.
I benandanti della tradizione friulana, come ci ricorda C. Ginzburg, andavano a combattere a colpi di rami di finocchio, contro i malefici degli spiriti avversi per la fertilità dei campi, degli uomini e degli animali, quattro volte all’anno cioè nella prima settimana di Quaresima, all’ottava settimana di Pentecoste, alla terza settimana di settembre e alla terza settimana dell’Avvento.
Se vincevano ci sarebbe stata abbondanza, se perdevano carestia.
Il potere di saper gestire positivamente tutte queste forze occulte della natura caratterizzava l’operato di molte conciaossa, mammane, levatrici, non patentate botaniche, di tutte quelle donne, insomma, che scrive Cecilia Gatto Trocchi, “accorrevano nelle case contadine a portare soccorso in caso di malattia o disgrazia, nei parti, nei funerali, in tutti i momenti cioè di rischio e di pericolo per il gruppo..”
Anche la loro professione era spesso vista con sospetto per la possibilità che avevano, soprattutto le ostetriche, di sottrarre umori e parti umane da impiegar poi nei malefici e di battezzare i bambini appena nati in nome del demonio. 

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