Magia e superstizione

IL LATO OSCURO DEL MEDIOEVO
di ELENA BELLOMO

La sottile vena della superstizione e l’influenza della sua più nobile sorella, la magia, percorrono tutta la storia dell’umanità sino dai suoi primordi. Guidato dalla semplice ignoranza o dal timore, dalla proterva volontà di dominare forze superiori alla volontà umana o dalla quasi scientifica convinzione che anche l’insondabile sia dominato da leggi perfette, sin dalla notte dei tempi l’uomo è stato condotto ad esplorare le forze della natura nel tentativo di comprenderne gli arcani meccanismi. Anche in questo, il Medioevo è nel contempo erede di tradizioni che il mondo antico gli aveva trasmesso ed anche instancabile produttore di miti e superstizioni, che a malapena possono essere inquadrati nella prospettiva cristiana propria di quest’epoca. Anche, e forse soprattutto, in questo campo si manifestano le numerose contraddizioni che rendono il Medioevo un’età davvero affascinante e che soprattutto dominano ancora l’immagine comune di questa epoca, secondo molti da un canto caratterizzata da una fede oltranzista e retrograda e dall’altro preda della più pagana superstizione.
Eppure questi stessi elementi non erano per nulla sconosciuti alla civilissima e splendida Roma, che fidava nelle complesse previsioni di aruspici ed auguri. Tuttavia questi riti, come numerosi altri, non avevano un carattere prettamente autoctono, ma erano stati mutuati dai cugini etruschi, e con il passare dei secoli e con il crescere della potenza romana dall’Oriente sarebbero giunti nell’Urbe altri culti, sempre più misteriosi e pregni di magia, dei quali Apuleio nel suo Asino d’Oro avrebbe stigmatizzato il diffondersi all’interno del razionale e concreto impero di Roma. Per i latini la magia è strettamente collegata al barbaro, al diverso. All’interno della pur tollerante religione romana, essa è dunque percepita come elemento estraneo, a volte pericoloso. Nel contempo, il Medioevo cristiano trae parte delle proprie attitudini culturali da Israele, progenitore nella fede verso un unico Dio.
Se dunque Roma guardava con sospetto ai seguaci dei nuovi culti magici venuti da lontano, il popolo eletto aveva più volte ascoltato le voci dei profeti tuonare contro i maghi, spesso sacerdoti dei culti politeistici delle popolazioni vicine. Altrettanto spesso in lotta per la sua stessa sopravvivenza contro nemici ben più potenti, Israele vive perennemente nella tentazione di tradire il suo Dio e di abbandonarsi agli sfarzosi culti pagani. Eppure non manca chi all’interno della stessa devozione rivolta a Javeh non esita a purificare i figli con il fuoco o a praticare la divinazione. È proprio la Bibbia a condannare simili pratiche, fornendoci quindi l’attestazione della presenza di tali rituali. Questa è l’eredità magica del Medioevo, che non poteva poi dimenticare la figura di Simon Mago, quale antesignano di un’intera casta di imbroglioni e ciarlatani, se non di veri e propri agenti del Maligno.
Non sorprende dunque se il Medioevo cristiano e romano avrebbe sviluppato una viscerale avversione verso la magia e tutto ciò che era ad essa connesso. Nello stesso tempo, però, i culti pagani sarebbero sopravvissuti appena velati dalla patina dell’evangelizzazione. Il Medioevo condanna dunque veementemente la superstizione e la pratica di riti occulti, ma non riesce in alcun modo ad estirparli anche perché è proprio l’immaginario medievale a nutrirsene. Le stesse pratiche cristiane, officiate in una lingua sconosciuta ed incomprensibile, spesso vengono considerate dai fedeli alla stregua di riti magici e nascono così le superstizioni secondo le quali si può essere risanati solamente guardando fissamente l’ostia durante la consacrazione. Simboli nuovi, quali la croce o le immagini della Vergine, si sovrappongono ad antiche credenze nella continua ricerca di protezione contro una vita insicura, minacciata dalle forze della natura, ma anche dalla brutalità degli uomini.
È questo lo scotto che il Cristianesimo deve pagare per affermarsi. Ai numerosi dei se ne sostituisce uno solo, ma ancora più potente. I luoghi dove viene adorato sono gli stessi di un tempo. I missionari hanno infatti distrutto gli idoli, ma non i loro templi. Li hanno purificati con acqua benedetta e hanno mantenuto poi le feste tradizionali, ammantandole di cristiana devozione. Queste sono istruzioni date dalla Chiesa stessa e non sorprende dunque se, come ricorda Gregorio di Tours, l’antico culto tributato dagli abitanti di un villaggio ad un lago viene cristianizzato con la semplice erezione di una cappella sulle sponde dello specchio d’acqua. La conversione, dunque, non implica significativi traumi, ma fatalmente fa sì che ogni fedele porti con sé nella nuova religione un bagaglio di credenze e superstizioni che erano parte integrante della sua fede precedente e quindi della sua vita.
Per tutto il Medioevo la Chiesa avrebbe condannato queste superstitiones, tentando di mondare i fedeli da quanto il paganesimo aveva lasciato loro. Una minaccia presente non solo nelle terre da poco guadagnate alla vera fede, ma radicata anche nella stessa Roma, sede del vicario di Pietro. I Poenitentialia, usati dai confessori, piccoli libri che elencano i peccati con le rispettive penitenze, ci testimoniano la fluida realtà della superstizione medievale. Le pene comminate al penitente variano a seconda della gravità delle colpe, ma numerosissime sono quelle che si ricollegano a pratiche per ottenere la fertilità, per proteggere le messi, per scongiurare le malattie e attirare la buona sorte.
Condannate dalla Chiesa sono anche le sortes sanctorum, ovvero la pratica di prevedere il futuro attraverso la lettura, spesso casuale, di passi delle Scritture. Alla stessa stregua sono trattate pratiche meno innocue come i malefici contro gli uomini e gli animali e i riti connessi all’evocazione dei defunti. Ugualmente inammissibile è la magia “tempestaria”, che tende a evocare o a dominare le forze della natura. Tanto meno è lecito “aiutare la luna” con grida durante le eclissi, incoraggiando l’astro a ricomparire dall’oscura ombra che lo ha inghiottito. Tra le pratiche sanzionate vi sono infine anche i filtri amorosi, come pure le pratiche contraccettive o gli aborti, l’infanticidio ed il gerontocidio o l’antropofagia.
Come si può ben vedere, la Chiesa medievale combatte una lotta impari con un nemico dai molteplici tentacoli: magia e superstizione si mettono infatti al servizio delle semplici necessità della dura vita agreste, ma alimentano nel contempo anche le passioni più riprovevoli. Sono ancora i capitolari dell’età carolingia e i canoni conciliari ad evidenziare il permanere di queste pratiche e fra gli idoli condannati fa capolino anche la romana dea della caccia, Diana, che nell’aspetto di Ecate triforme, nel mondo antico aveva presieduto ad un culto dai connotati profondamente femminili, legato ai cicli della luna, alla ricerca della fecondità ed ai misteri notturni. Diana, dea dei pagani, è inoltre espressamente collegata alla possibilità che alcune donne possano incontrasi con demoni, danzare o addirittura volare in loro compagnia.
Anche la cavalcata nel cielo attribuita alle seguaci di questa dea si riconnette a credenze precedenti di ascendenza però prettamente germanica. È infatti nella mitologia del Nord Europa che proprio delle donne, le valchirie, guidano il viaggio celeste dei combattenti caduti in battaglia verso il paradiso degli eroi. Altrettanto spesso, però, il Medioevo cristiano si è anche impossessato di dee pagane, connesse al culto della vita e della fertilità, facendone addirittura delle sante. È questo il caso della divinità germanica Frau Holde che venne ad identificarsi con santa Faralide. Ed in effetti i testi agiografici medievali tendono a presentare la figura del santo cristiano come quella del depositario di poteri incredibili. Essi discendono sì dalla sua fede e rettitudine, ma rappresentano comunque strumenti di un potere straordinario, che fanno del santo una sorta di mago bianco, impegnato in una costante lotta con il Maligno con le sue stesse arti. Perché, non bisogna dimenticarlo, per il Medioevo la magia è comunque altro dalla semplice e bassa superstizione, e, secondo quanto affermava s. Agostino, è arte diabolica, che trae la sua stessa origine dal demonio.
A rendere ancora più complessa la trama della magia e superstizione medievali interviene anche il fenomeno della stregoneria, al quale in questa sede accenneremo soltanto con l’intenzione di dedicarvi un intervento più disteso in futuro. È infatti necessario sottolineare come erratamente molti ancora identifichino il Medioevo con l’epoca della caccia alle streghe. Si tratta di un errore grossolano, dato che i roghi di maghe e fattucchiere hanno innanzitutto illuminato non l’ignorante e superstizioso Medioevo, ma la luminosa e razionale Età Moderna. Anche questo fenomeno, variamente interpretato dagli storici come cumulo di reminescenze pagane, ma pure come fenomeno di rivolta sociale, trova però le proprie premesse nell’Età di Mezzo. Come abbiamo visto, è proprio in questa epoca che elementi mutuati dalla mitologia antica o germanica si riconoscono i primi riferimenti ad assemblee sabbatiche, all’adorazione di idoli, all’albero delle fate o al volo magico. In questo caso stregoneria ed eresia spesso si compenetrano senza che sia possibile distinguere nettamente l’una dall’altra.
Anche il rogo dell’eretico, e quindi della strega, è una creazione medievale, tuttavia questo fenomeno, pur presente nel Medioevo, soprattutto dal XIII secolo in poi, non avrebbe mai assunto la sistematicità e le dimensioni che lo avrebbero caratterizzato nei secoli seguenti. Questo è il complesso clima all’interno del quale si colloca la rinascita culturale dell’Occidente medievale, dall’XI secolo in poi. Primo capostipite di tale rinnovamento è papa Silvestro II, al secolo Gerberto di Aurillac, l’uomo più colto del proprio tempo, la cui sapienza, non a caso, è anche messa in relazione dal cronista Guglielmo di Malmesbury, ad un libro di magia, sottratto ad un musulmano. In effetti, la percezione occidentale della magia nei secoli centrali del Medioevo sarà profondamente influenzata dalla conoscenza dei testi classici mediata da traduzioni arabe, provenienti dalla Spagna. È a Toledo, in futuro capitale delle scienze occulte, che vengono tradotti i testi musulmani che a loro volta erano stati redatti in base alle compilazioni dei filosofi greci, sia di scuola platonica che aristotelica.
Oltre ai temi più strettamente filosofici queste opere trattano diffusamente di temi magico-astrologici, aprendo così le porte delle classi colte della società medievale alle forme più raffinate della magia. Faceva quindi ritorno in Occidente l’alchimia, grazie soprattutto alle traduzioni dell’arabo Giabir, mentre astronomia e astrologia, ancora strettamente collegate, erano soprattutto debitrici della rinnovata divulgazione delle opere di Tolomeo e di altri sapienti greci. Non è poi da trascurare la conoscenza esoterica che sarebbe provenuta dall’Oriente conquistato dai crociati, o dall’impero bizantino. Proprio da qui sarebbe giunta in Europa la versione latina dei Kiranides, un’opera incentrata sulle proprietà magico-naturali delle varie sostanze, che era già stata usata nell’antichità da medici come Galeno o Olimpiodoro. Siamo dunque ad un livello diverso da quello delineato nelle pagine precedenti.
Qui la magia è cultura, è rinnovato gusto per l’indagine del mondo, per la ricerca delle insondabili leggi che lo dominano e ne regolano il corso. È questa la negromanzia, che si basa su scritti come i Tetrabiblos di Tolomeo, l’Introductorium di Albumasar o veri e propri manuali di magia come il Picatrix o Il libro degli esperimenti, il successo dei quali sarebbe perdurato anche in epoca moderna. Lo studio di queste opere si diffonde sempre di più nei circoli degli intellettuali e ne permea i ragionamenti filosofici e teologici, ma nel contempo l’espandersi di simili conoscenze crea sospetto. Se da un canto esse contribuiscono a rafforzare la convinzione dell’esistenza di monarchi dotati di sapienza salomonica e di benefici poteri da sempre connessi ala regalità (si rammenti il celeberrimo caso dei re taumaturghi indagato da Marc Bloch), parallelamente si afferma l’immagine del sovrano mago, depositario di poteri guadagnati grazie ad un innominabile patto con il Demonio. Questo è il monarca temporale che contende al papa il dominio della comunità cristiana. È Federico II di Svevia, la corte del quale è un prestigioso centro di cultura che tra gli altri ospita Michele Scoto, celebre astrologo, traduttore e studioso di testi arabi. Non stupisce dunque che tra i fautori dell’empio imperatore vi sia anche l’efferato Ezzelino da Romano, che nell’Ecerenide sarebbe stato definito addirittura figlio del Demonio. Sulla scena di questa tragedia è infatti la stessa madre Adeleita a confessare l’orribile concepimento, di un “figlio degno di tale padre”.
Eppure non solo i ghibellini, i laici sostenitori dell’impero, sarebbero stati tacciati di simili infamie. Già durante la lotta per le investiture lo stesso pontefice Gregorio VII era stato accusato di praticare arti occulte di chiara derivazione diabolica. Lo stesso sarebbe stato imputato a Bonifacio VIII. La magia veniva quindi ad essere un nuovo importante strumento al servizio della propaganda politica, evidenziando soprattutto come sempre più spesso essa fosse assimilata all’eresia.
Effettivamente componenti magiche sono ascritte dalle fonti medievali a movimenti eterodossi di stampo dualistico come quello cataro, che nelle proprie filiazioni più lontane e destrutturate arrivano ad assumere i connotati di confusi culti demoniaci. Alla relativa tolleranza che la Chiesa un tempo aveva manifestato si sostituisce così un movimento di condanna e repressione sempre più intransigente e generalizzato. Il papato è ben deciso a ridurre al minimo gli spazi di libera iniziativa dei laici e spesso forme troppo vive di devozione che sfuggono al controllo ecclesiastico vengono bollate con il marchio dell’eresia.
È questo il caso dei Valdesi, l’esperienza del cui fondatore non è molto dissimile da quella di Francesco di Assisi, e che dichiarati eretici, saranno poi solo in parte riacquistati all’ortodossia. È proprio in questo clima che matura la sempre più frequente e dura condanna della magia, a qualsiasi livello essa venga studiata e praticata. Sempre più acceso si fa dunque anche il dibattito circa la reale natura di questa disciplina. Se Giovanni di Salisbury aveva infatti condannato senza appello la divinazione e l’astrologia, Ugo di San Vittore non aveva inoltre esitato a rilevare la totale falsità delle pratiche magiche, senza dimenticare di metterne poi in luce la profonda immoralità e demonicità. Sarebbe stato tuttavia Tommaso d’Aquino a stigmatizzare la negatività della dimensione magica, distinguendola nettamente dal miracoloso ed affermandone la discendenza dalle forze infernali. La magia è dunque non solo un inganno, ma anche pura empietà. La condanna delle proposizioni aristoteliche avvenuta nel 1277 ad opera del vescovo parigino Stefano Tempier si accompagna così alla messa al bando di testi di negromanzia, astrologia e geomanzia. Su posizioni nettamente opposte sono alcuni filosofi, tra i quali il maestro dello stesso Tommaso d’Aquino, Alberto Magno, autore tra l’altro di un trattato di astronomia. Non a caso, secondo Alberto, erano stati proprio dei sapienti magi ad adorare tra i primi il Salvatore.
La più lucida difesa della magia si deve però a Ruggero Bacone, precursore della scienza moderna. Convinto assertore della positività di parte delle pratiche magiche, egli distingue infatti tra la magia cerimoniale, dai tratti appunto demoniaci, e la magia naturale, fondata sulla profonda conoscenza della natura e sulla sperimentazione volta ad indagare le specifiche leggi della creazione. Siamo ancora lontani dal percepire una reale dicotomia tra quanto in discipline come l’alchimia e l’astrologia vi può essere di concretamente scientifico, dando quindi vita a settori di studio autonomi quali la chimica e l’astronomia, ma le riflessioni di Bacone sono comunque importanti perché apriranno la strada alle affermazioni dell’Umanesimo scientifico.
Sulla scorta di simili teorie si sarebbe infatti mosso non solo Raimondo Lullo, sostenitore dello studio di un’ars magna, capace di racchiudere in sé i principi fondamentali delle discipline sperimentali, ma anche i pensatori, come Marsilio Ficino, attivi nelle corti del Rinascimento, dove magia significherà non solo scienza, ma anche divertita fruizione del meraviglioso letterario. È proprio il Medioevo a essere quindi il custode delle primi passi dell’evoluzione della magia da superstizione o dotta speculazione filosofica a fondamento delle scienze sperimentali moderne. Una mirabile ed imprevedibile metamorfosi, degna di un vero incantatore. 

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