Shiva Shakti: il seme della potenza

di Adriano Forgione
Nell’India antica, le divinità Shiva e Shakti erano l’espressione dei poteri generatori dell’eros. La loro forza era espressa nei rituali tantrici, il mezzo attraverso cui l’uomo diveniva dio.
Al passo 4.87 del libro sacro induista Shiva-samhita è scritto “Perché io Shiva, sono il bianco sperma e l’umore rosso è la mia Shakti. Quando essi si fondono Io, Io mi unisco a Lei! Colui che conosce questo si realizza, il suo corpo diventa quello di un dio!”. Nell’Induismo, Shiva (dal sanscrito “fausto”) è la massima manifestazione benefica della divinità suprema, mentre Shakti (dal sanscrito “forza” o “potenza”) è la sua compagna. Nel passo citato, Shiva e Shakti (o Parvati) vengono associati all’unione dei due umori, espressione della forza delVeros che nella loro compenetrazione trova la giusta vibrazione, generando la potenza nel mondo.
Viene, infatti, esplicitamente detto che chi conosce questo si realizza e diviene un dio in terra. Il rito dell’unione sessuale, per i culti tantrici dell’India antica, era la rappresentazione dell’unione del Unga (il fallo) di Shiva con la yoni (la vagina) di Shakti. Un processo che era appannaggio della classe sacerdotale e che aveva nello Yoga della potenza il mezzo di espressione affinchè l’uomo potesse unirsi al Brahamam, lo Spirito. In India, le forze che sono espressione dei poteri generatori non hanno sofferto la clausura di cui il mondo occidentale è stato vittima. Al contrario, in alcune élite sacerdotali, proprio perché allo sperma e al mestruo venivano associati gli aspetti divini superiori, essi erano santificati e Yeros era visto, giustamente, come mezzo per evolvere e ottenere una compenetrazione con l’energia suprema, la liberazione, chiamata “Moksa”.
LA MADRE KUNDALINI
Nella Chandogya Upanishad, risalente come testo scritto al 600 a.C. (ma certamente più antico) è scritto: “La donna è il fuoco, il suo grembo esca, l’invito dell’uomo fumo. La soglia è la fiamma, l’entrata è la brace, il piacere la scintilla”, un metodo poetico per descrivere la donna quale porta di accesso al mondo delle forze divine e all’estasi. La donna, infatti, nella cultura shivaista è rappresentazione della perfezione della creazione, in quanto, sebbene originata dalla materia, se ne distacca gradualmente sino a giungere a essere una sorta di ricettacolo dei poteri divini, che vengono individuati nella colonna vertebrale umana. E’ il concetto di energia Kundalini, a cui viene associato il serpente cobra che si innalza dal basso verso l’alto, donando la potenza, la conoscenza, la protezione e lo status divino a chi riesce in questo processo. Alla donna era, infatti, associata la figura del serpente e, pertanto, nella statuaria induista e shivaista veniva raffigurata sinuosa, ammaliante e attraente, in quanto doveva essere espressione della grazia divina e allo stesso tempo dell’energia del suo animale totem. La Kundalini, che parte dalla base dell’osso sacro, sua sede quando è solo allo stato potenziale (è per questo che viene chiamato sacro), giunge sino alla pineale protetta dal cervello quando è finalmente attivata, risvegliando nel suo percorso di attivazione, secondo la tradizione induista, i sette centri dell’evoluzione spirituale chiamati chakra. Questo processo viene affermato nei testi sacri, è attuato proprio attraverso l’utilizzo consapevole dell’energia sessuale. Ne offre conferma il Tantrasara, in cui è poeticamente scritto: “Oh madre Kundalini, tu giaci acciambellala al centro del Muladhura chakra, tu risvegli l’universo all’esistenza, mentre ti levi in un getto di fuoco. fino al Sahsrara chakra, dove ti unisci a Shiva”. Da questo passo abbiamo la conferma che l’energia-serpente Kundalini è l’elemento femminile e tutte le donne ne sono espressione. Va precisato che queste pratiche non hanno nulla a che vedere con il Kamasutra, scritto più recente e realizzato per definire delle regole di comportamento sessuale. Nell’India antica, erano, invece, i culti tantrici a garantire l’aspetto sacro del sesso, visto sì come unione fìsica del sacerdote e della sacerdotessa, ma soprattutto di ciò che l’esplosione delle loro energie doveva rappresentare, al fine di ripetere ritualmente e costantemente l’atto creativo divino, la continua manifestazione del dio supremo e androgino nel mondo e l’espulsione di ciò che da non manifesto diviene manifesto, al fine di portare l’uomo prima all’estasi e poi all’evoluzione superiore. Questi culti tantrici erano divisi in Kaula e Kapalika. Il tantra Kaula, più aperto e benevolo, sottolineava l’unione sessuale tra Shiva e Shakti per l’esercizio delle diverse pratiche sessuali e, allo stesso tempo, per risvegliare la Kundalini. Il Kapalika era, invece, più segreto, professato da sacerdoti chiamati Somasiddhanun.
GLI DEI NUDI
Tornando all’atto sessuale, si trattava della più sacra delle azioni che un uomo potesse compiere, essendo, come detto, l’unificazione dei due principi che costituivano la creazione. Pertanto, il loro svolgimento nei templi non era altro che “offrire” alle divinità la parte più sacra e divina di cui si era in possesso, la propria energia creatrice, la massima forma di sacrifìcio, essendo, il coito e l’amplesso, una forma di morte e, allo stesso tempo di rinascita, la fonte di ciò che è in grado in potenza di donare la vita e che, invece, veniva offerta al dio. Non vi era, quindi, limite agli amplessi nei tantra, che venivano svolti secondo precisi rituali, accompagnati da musiche sacre e profumati da essenze aromatiche naturali, al fine di richiamare al momento giusto il dio e le forze positive al suo seguito. A questo proposito i templi (un esempio delle pregevoli decorazioni è ancora visibile a Kahjuraho, in India) venivano decorati con una splendida statuaria in cui il tantra della potenza sessuale era espresso in tutte le sue possibili forme, rappresentato dalle sinuose ed erotiche forme femminili che offrono il loro fiore al dio Shiva. Corpi completamente denudati, perché tra gli dèi non c’è pudicizia, concetto invece tipicamente umano. Il dio e la dea non hanno nulla da nascondere. Essi si esprimono attraverso la potenza e la forza, che negli uomini è proprio nei genitali. Essi, infatti, creano e distruggono, come Veros crea e distrugge allo stesso tempo. Le statue sinuose di Khajuraho ci offrono una panoramica completa di questo culto meraviglioso, i cui i particolari non vanno trascurati. Come il piccolo scorpione che, posto sulle gambe della dea. oramai praticamente denudata, vuole richiamare al potere dell’eros, simboleggiato nell’antichità proprio da quest’animale. O ancora, scene di sesso orgiastico, attinenti all’elemento caotico dell’energia creatrice, che gradualmente trova ordine. Le cerimonie orgiastiche erano, infatti, regolate da precise norme. Il rituale si svolgeva in luoghi segreti delimitati da cerchi sacri. Dopo aver meditato, gli officianti, uomini e donne di classi nobiliari, si davano al cibo e al vino. scambiandoseli reciprocamente, sino ad arrivare all’unione sacra, il maithutw.
IL LINGA E LA YONI
Gli elementi basilari del tantra erano, quindi, il Linga (o lingam) e la yoni. Linga, che vuoi dire “segno distintivo” associato allo scetro del Signore del Mondo, posto nelle mani di Shiva lingarajai (il rè del Linga). E’ nelle leggende che possiamo individuare la chiave di interpretazione a questi concetti universali. Si narra che tempo fa tra Brama e Visnu scoppiò una disputa su chi possedesse maggior vigore e potenza. Improvvisamente, dalla terra scaturì un enorme fallo irradiante luce, talmente luminoso da abbagliare i due.
Un segnale inequivocabile dell’importanza di questa apparizione. Pertanto, Brama si trasforma in uccello e vola verso l’apice del fallo di luce, mentre Visnu si trasforma in cinghiale e inizia a scavare alla sua base. In quel momento, il fallo si apre come un fiore di loto e, dal suo interno spunta Shiva, che dimostra così di essere la divinità principe, il simbolo dell’uomo che divinizza sé stesso, portando equilibrio tra le due polarità, rappresentate da Brama e Visnu. Il fallo, di cui Shiva è espressione, è quindi il simbolo dell’asse del mondo, mentre il suo potere è in grado di sostenere l’intera creazione e, allo stesso tempo, la rinascita dell’uomo da essere terreno a essere divino. E’ per lo stesso motivo che il mitologico monte Meru, la montagna primordiale, primo frutto della creazione, veniva raffigurato anche come un enorme glande. Senza la yoni, la vagina, il lingam di Shiva non avrebbe alcun potere. Per gli Shaktisti è lei l’elemento principale della creazione, la vita che si ripete. Il suo sangue è l’energia che muove il cosmo, è la magia fatta fluido, è il segno che indica la fecondità del cosmo e della terra, quando cessa è indice che una nuova vita è pronta a materializzarsi al mondo, così come è il segno del sacrificio della donna nel mettere alla luce il figlio. Nel tantrismo i sacerdoti non si limitano ad adorare la yoni, ma, come insegnato dalla tecnica onyasa che è finalizzata a richiamare il dio a prenderne possesso, la toccano con le mani, fino a penetrarla con il Linga, andando a ripetere l’atto sacro con la devadasi.
ALTRI DEI
Non è solo la coppia Shiva-Shakti a incarnare il prototipo della potenza sessuale divina. Anche Krishna e Radha non sono da meno. Nel Mahabharata, i due dèi si concedono ad amplessi senza fine, completando l’accoppiamento fisico divino e, come per l’altra coppia di dèi, si può parlare di metafora, la cui unione non è altro che la riunificazione dello spirito solare (il Purusha) con la materia (Praktiri). Altre divinità di origine indiana sono legate al sesso e all’eros quale segno distintivo di fuoco sacro e di potenza. Agni, il dio solare, il Prometeo indù, ha come animale totem il capro e rappresenta proprio quel fuoco creatore che viene generato dall’eroe, in grado di generare se considerato sacro, ma di distruggere il mondo e di portare alla perdizione se espresso nel suo lato profano.
L’OFFERTA SACRA
Ma in cosa consistevano le pratiche tantriche sessuali sacre in India? Vi erano due scuole di pensiero. La prima prevedeva che linga (fallo) e yoni (vagina) si unissero carnalmente, senza però raggiungere l’orgasmo: una pratica chiamata “ritenzione del seme”. Per questa scuola, il coito era associato alla perdizione, mentre la ritenzione alla castità. Tutto, quindi, sarebbe stato incentrato sulla centralità del seme (chiamato bindu), associato all’essenza di Luna, la cui potenza era di ben superiore al solo atto creativo umano, arrivando a essere l’elemento base per la creazione divina nell’uomo. Per non sprecarlo e, quindi, non indebolire fisicamente e spiritualmente l’adepto in cerca dell’illuminazione attraverso il tantra, bisognava non sperperarlo. L’altra scuola, ben più attenta alle esigenze e alle potenze femminili, prevedeva che lo sperma venisse raccolto in una coppa santa e bevuto dal sacerdote e dalla sacerdotessa, inghiottendolo senza indugio, al fine di ottenere il medesimo scopo, cioè il recupero dell’energia divina emessa attraverso il coito di uomo e donna, evitando così che essa andasse dissipata.
Quando l’unione tra uomo e donna avveniva durante i giorni di mestruo, quanto risultante dalla compenetrazione dei fluidi delle due energie, chiamata Kundagolaka, veniva considerato ancora più santo e rigenerante e, pertanto, andava bevuto dedicandolo con maggiore forza interiore al dio Shiva e alla dea Shakti. E’ quello che accade nel miracolo eucaristico cristiano, dove il vino e l’ostia non sono altro che la trasposizione simbolica di quest’antico rito, officiato con mestruo e sperma, energia solare e lunare. Può sembrare disdicevole per noi occidentali, ma va detto che per gli antichi culti induisti, l’uomo sacro, il sacerdote brahmino, era incarnazione della divinità, e come lui, la sacerdotessa devadasi. Tutto quanto prodotto dal loro amplesso era, pertanto, sacro ed espressione della forza dell’unione di due dèi. Il tempo, come in altri luoghi del mondo ha prodotto delle storture in questi elementi basilari, generando sette che hanno travisato l’originale messaggio e utilizzando in modo diverso l’eros, sino a deviarlo completamente. Nonostante ciò, la potenza del vero Fuoco Sacro resta integra e la sua opera liberatrice, in India e fuori di essa, prosegue nei millenni. Preferiamo chiudere con le parole della Brhadaranyaka Upanishad che esprime perfettamente i concetti sin qui trattati: “Sono le sue gambe il combustibile, fumo è la peluria del suo corpo, la vulva autentica fiamma, l’atto di penetrazione è la scintilla, faville le fiamme del piacere. In questo fuoco gli dèi offrono il seme dell’umanità”. 

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