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di Adriano Forgione
La scoperta in Russia di una mappa antica 120 milioni di anni, potrebbe riscrivere la storia umana. In esclusiva parla Alexander Chuvyrov, fisico accademico, autore del clamoroso ritrovamento.
Nello scorso mese di maggio, la Prava diramava la notizia della scoperta in Russia, nel villaggio di Chandar, di una mappa tridimensionale antica di 120 milioni di anni. Il suo scopritore, Alexander Chuvyrov, fisico accademico, ha sconvolto l’ambiente scientifico per aver confermato tale incredibile datazione. La mappa testimonierebbe l’esistenza di una civiltà avanzata in un’epoca in cui sulla terra dominavano i grandi rettili. Una tale affermazione potrebbe riscrivere la storia dell’uomo e dare credito ai sostenitori della grande antichità della nostra specie. Abbiamo invitato il professor Chuvyrov in Italia, quanto segue è la trascrizione della sua intervista.
Adriano Forgione: PROFESSORE, COME È AVVENUTA QUESTA INCREDIBILE SCOPERTA? IN QUALE CONTESTO È AVVENUTA?
Alexander Chuvyrov: II ritrovamento è stato “casuale”. Con il mio gruppo di ricerca studiavamo l’identità culturale dei popoli degli Urali. L’obbiettivo era individuare se qualche nucleo di etnie adottasse un sistema di archivio come accade in Cina. Abbiamo realizzato un vero e proprio screening nei depositi dei vari musei, trovando iscrizioni su ornamenti e stoviglie, principalmente espresse nella lingua cinese più antica che adotta i caratteri Jiaguwen, dimostrando così che i cinesi giunsero in tempi antichi fino in Russia occidentale. Abbiamo scoperto che la popolazione locale aveva utilizzato la lingua cinese fino al XX secolo e, attualmente, sappiamo che di questi glifi ve ne sono circa 600.000. Avevamo notato che gli archeologi e gli storici definivano i caratteri che noi identificavamo come cinesi, dei semplici ornamenti. Quindi, mi sono messo alla ricerca di tutte le indicazioni esistenti, rinvenendo negli archivi un elenco dei monumenti della zona sud degli Urali. In queste note, abbiamo trovato delle importanti indicazioni sull’esistenza di sei pietre con ornamenti che si trovavano presso il fiume Ufinca o Karadele. Queste pietre erano descritte come ornate con fregi talmente complessi da non poterne fare una copia disegnata. Battezzata l’area interessata Pisanicy, nome che definisce località russe caratterizzate da petroglifi, avevamo ora validi motivi per proseguire le nostre ricerche.
A.F.: COME AVETE FATTO A TROVARE LA PRIMA LASTRA SENZA SUFFICIENTI INDICAZIONI?
A.C.: Avevamo realizzato delle campagne di ricerca utilizzando teleobiettivi e ricognizioni in elicottero, ma senza risultati. Decisi quindi di contattare il più anziano del vicino villaggio di Chandar. Quando gli chiesi se fosse a conoscenza delle lastre di pietra che cercavamo, ci rispose che una di queste si trovava proprio sotto casa sua, ma che aveva intenzione di distruggere, poiché stava causando penetrazione di acqua al di sotto del pavimento. Abbiamo allora barattato la lastra con un camion di graniglia, promettendo di realizzare le strade che gli servivano. Le sue dimensioni sono 1,48 m x 1,03 m x 16 cm. Per sollevare la lastra. l’abbiamo fatta rotolare su dei cilindri di legno, capendo subito che si trattasse della raffigurazione di una vasta area. Non potevo credere ai miei occhi: pensai subito a una mappa tridimensionale, ritenendo però che una cosa simile non poteva esistere, poiché il luogo in cui era stata recuperata è una piccola valle. le cui prime strade sono apparse soltanto dieci anni fa. È dunque impensabile che cento anni fa qualcuno abbia potuto trasportarla fin lì.
A.F.: È STATO POSSIBILE SOTTOPORRE LA PIETRA AD ANALISI IN LABORATORIO?
A.C.: Poco dopo la scoperta, questo monolite – allora in ottime condizioni – è stato rubato, alcuni frammenti della lastra sono andati perduti e, purtroppo, non sono stati più ritrovati. Con l’aiuto della polizia, abbiamo recuperato la pietra e organizzato un laboratorio di studio con un gruppo di matematici, archeologi, filologi e fisici. Abbiamo appurato che la lastra è divisa in tré strati: inferiore dolomite, centrale diopside, superiore porcellana. Il primo grande problema è scaturito dall’analisi paleoidrologica, in quanto non esistono specialisti in grado di valutare le informazioni relative agli Urali meridionali. Parte delle analisi è stata realizzata in Cina per ottenerne un’altra degli ideogrammi presenti sulla pietra, dei principi di cartografia e infine della porcellana presente sulla superficie, al fine di poter comprendere lo stile di lavorazione a cui la pietra era stata sottoposta.
A.F.: VORREI CHE I LETTORI VENISSERO MEGLIO A CONOSCENZA DELLO STUDIO SUI MATERIALI CHE COMPONGONO I LIVELLI DI CUI È COSTRUITA LA MAPPA. CREDO SIA UN ARGOMENTO CHIAVE…
A.C.; La mappa consiste di tré livelli: uno strato di dolomite, uno strato di diopside su cui sono stati realizzati i canali, i segni convenzionali, i fiumi e tutto ciò che la mappa rappresenta. Per realizzare una mappa tridimensionale, è necessario che la parte superiore sia di colore bianco e che sia ben modellata, affinchè chi la impiega non si confonda tra ombre e riverberi. Sono stati prelevati campioni di dolomite in cento punti differenti, dove appare essere un materiale omogeneo, eppure nel suo strato sulla mappa manca il quarzo. Dalle analisi abbiamo appurato che nessuno di questi campioni combaciava con la dolomite della mappa. Coloro che realizzarono questo strato riuscivano dunque a eseguire un processo di dolomitizzazione artificiale, oppure erano capaci di servirsi di argilla di dolomite dell’Europa occidentale, portarla negli Urali e lavorarla. La struttura della diopside sembra inoltre assemblata a schizzi, presentando delle inserzioni verticali. Inoltre, la sua microdurezza è pari a quella del corindone e, grazie ciò, l’immagine in rilievo si è consenta perfettamente, mentre la parte inferiore in dolomite ha cominciato a disgregarsi. Per unire i due strati, “i creati: hanno sostituito gli atomi di silicio di diopside agli atomi di carbonio della dlomite, tali da farli sembrare saldati negli strati. I problemi posti dagli strati sono:
1.Come fabbricare della dolomite artificiale;
2. Come ottenere delle nanostrutture dalla diopside, poiché la sua temperatura di fusione è di 2650 gradi. In ogni caso fu impiegata una tecnologia assai avanzata.
A.R: LA PIETRA RAPPRESENTEREBBE UNA MAPPA. SU QUALI BASI È STATA FONDATA TALE LE SUPPOSIZIONE?
A.C.: All’inizio pensavamo che la superficie presentasse semplicemente delle crepe, in seguito ho scoperto che le due parti differivano, l’una era molto netta, l’altra più levigata, particolare riscontrabile nei fiumi, principalmente a causa della rotazione delle forze di Coriolis. Ho pertanto studiato la rappresentazione dei bordi dei canali sino a determinare la direzione di scommento dei fiumi. E stato uno shock capire che sulla mappa erano stati raffigurati gli effetti di queste due leggi fisiche, ciò significa che tale mappa è stata realizzata sulle basi della fisica. A tal proposito è necessario considerare che questi due indizi non bastano per identificare la pietra come una mappa, perché una carta rappresenta un sistema matematico. Quando ho calcolato il rapporto tra l’altezza e la larghezza della pietra, ho visto che la misura alla tangente dell’angolo era di 54°, che corrisponde esattamente all’angolo della latitudine dove si trova la città di Ufa. Ho compreso il significato del segno raffigurato da un cerchio con due tangenti che vi passano sopra, rilevando che l’angolo formato da queste due linee fosse uguale a quello della latitudine. Ciò mi ha fornito la chiave per comprendere la latitudine esatta del luogo raffigurato sulla mappa e il sistema matematico su cui è fondata. Per realizzare una mappa servono anche dei segni convenzionali, distinguendoli dalle iscrizioni: sulla carta erano raffigurate circa 32 dighe poste all’intemo di un sistema idrografico. Questa civiltà aveva necessità di controllare l’acqua attraverso la costruzione di una serie di dighe.
A.E: I SUOI COLLEGHI SI SONO SCHIERATI CONTRO DI LEI, COSA VORREBBE OBIETTARE O RIBATTERE?
A.C: Sì, è successo ma io la reputo una cosa molto positiva, vorrei piuttosto avvisarli che non si può studiare questo oggetto soltanto in base alle fotografie, per quanto esse siano pregevoli e precise. Se qualcuno mi critica rispondo che sono un fisico, uno scienziato, sono stato Vice Rettore dell’Università della Bashkiria e so ragionare in modo scientifico. So anche che l’oggetto di cui stiamo parlando è un oggetto non classificabile, che esula dal panorama culturale umano che conosciamo, ma a esso bisogna avvicinarsi con il dovuto rispetto.
LE NANOTECNOLOGIE DEGLI URALI
I rinvenimento della cosiddetta “Mappa del Creatore” ha riacceso il dibattito su alcuni oggetti trovati in Russia negli anni ’90. Si tratta di nanotecnologie, alcune delle quali impossibili da vedere senza l’ausilio di strumenti ottici. I materiali impiegati per la realizzazione di questi oggetti variano dal più comune rame al più raro tungsteno e molibdeno, tutti rinvenuti, stando alle dichiarazioni, in strati geologici risalenti a circa un milione di anni fa. Nel 1995 Valery Uvarov ha condotto una spedizione sulle rive del Balbanju, dove è riuscito a recuperare altre spirali in depositi geologici appartenenti al pleistocene superiore. La geologa Elena Matveeva è totalmente convinta che le spirali non siano oggetti realizzati in epoche moderne e contraria a considerarli come scarti di lavorazione della vicina stazione spaziale di Plisezk. A detta di Chuvyrov, la “Mappa del Creatore” è stata realizzata mediante nanotecnologie. È una corrispondenza interessante che le due scoperte si richiamino l’una con l’altra, sebbene quella di Chuvyrov sia di gran lunga più affidabile.